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32 capo iv.


alcun australiano. Anche Wan-Horn si era spinto nell’interno della penisola per parecchi chilometri, ma non aveva veduto che delle bande di kakatue e di pappagalluzzi, o le tracce di qualche kanguro o di qualche casoaro.

Senza dubbio, il capo della tribù dei Warrame aveva cercato di spaventarli con una gradassata qualunque. Forse la sua tribù non esisteva che nella sua immaginazione o doveva essere, per lo meno, assai lontana.

Così almeno supponevano il capitano ed i suoi compagni, quantunque il prigioniero, che era tenuto sempre in fondo alla stiva e con delle solide corde ai piedi ed alle mani, si ostinasse a far credere il contrario, minacciando di farli esterminare dai suoi sudditi.

La sesta notte, mentre ormai tutti si tenevano certissimi di non venire più importunati dagli abitanti di quella selvaggia penisola, un avvenimento inatteso produsse fra l’equipaggio una viva emozione.

Mentre i pescatori russavano tranquillamente sotto le tende, gli uomini di quarto che vegliavano attorno ai forni avevano scorto, verso le tre del mattino, un punto luminoso che brillava sulla cima di un’altura situata a tre miglia dalla costa.

Non era fisso poichè cambiava spesso di posizione e di dimensione, ora assumendo delle proporzioni gigantesche ed ora rimpicciolendo a tale segno che diventava appena visibile.

Non ci voleva di più per spargere l’allarme fra quei chinesi, che da cinque giorni vivevano in continua agitazione per tema di un improvviso attacco. In pochi istanti pescatori e marinai furono in piedi, e non pochi si affrettarono a battere in ritirata, avvicinandosi alle scialuppe che erano state legate presso la spiaggia.

Il capitano e Cornelio, che dormivano sotto una tenda mentre Hans e Wan-Horn riposavano a bordo della giunca, furono tosto avvertiti.

— Che sia un segnale? chiese il giovanotto.

— Lo temo, Cornelio, rispose il capitano, che fissava attentamente quel fuoco.

— Fatto a chi?

— Forse a qualche tribù.

— O al nostro prigioniero? Forse ignorano che è in nostra mano.