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la pittura di guerra del selvaggio 27

sieroso. Quel selvaggio cercherà di giuocarci qualche cattiva azione, ma noi veglieremo e al primo indizio di pericolo ci ritireremo nella giunca.

— Che vi sia qualche tribù nei dintorni?

— Mi pare che questa costa sia troppo sterile per nutrire una intiera tribù, ma nell’interno della penisola i selvaggi non devono mancare.

— Sono coraggiosi?

— Sì, quando la fame li spinge e molti sono stati gli equipaggi divorati da questi antropofaghi. Apriremo per bene gli occhi però, e non lasceremo avvicinarsi al nostro campo nessuno senza il nostro permesso.

I chinesi, rassicurati, avevano ripreso il lavoro di preparazione del trepang, mentre i pescatori avevano ripreso il largo per tuffarsi nelle acque della baia. I due fornelli riattivati mandavano in aria grandi fiammate, e l’acqua delle due immense caldaie bolliva, cucinando le olutarie le quali venivano ammucchiate le une sulle altre, sulla tela che era stata riparata da una specie di tenda, onde impedire che il sole le guastasse.

Hans e Cornelio, armati di fucili, perlustravano le rocce per accertarsi che nessun altro selvaggio si aggirava e facevano le fucilate contro le bande di kakatoe bianche, rosse o leggermente tinte di rosa, abbattendone parecchie, mentre il capitano esaminava i bassifondi della baia, per meglio assicurarsi della quantità e qualità delle olutarie.

Erano già trascorse due ore ed i pescatori avevano sbarcato due altre partite di molluschi e delle specie più pregiate, quando si vide improvvisamente ricomparire il selvaggio di prima.

Era ancora solo, ma quale lugubre toletta aveva fatto!... A prima vista si poteva scambiare per uno scheletro vivente, poichè si era dipinto con terra gialla, una specie di ocra senza dubbio, le costole e le membra, in modo da imitare l’ossatura d’un essere umano.

Non aveva alcuna arme, ma in mano, sospesa ad un bastone, portava un pezzo di corteccia d’albero d’una tinta e forma particolare.

I chinesi nello scorgere quello strano emblema, impallidirono, mormorando: