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240 | capo xxiii. |
— Si saranno messi in cerca di noi.
— È possibile, ma spero che troveremo qualche segnale. Affrettiamoci!
Si misero a correre tutti e due, preceduti dal papuaso il quale aveva compreso che doveva essere accaduto qualche grave avvenimento e dopo dieci minuti giungevano nel boschetto di noci moscate.
Cornelio e Wan-Horn s’arrestarono, entrambi pallidissimi, gettando sguardi ansiosi sotto quelle piante, ma non videro alcuno. Solamente delle colombe coronate occupavano i rami, mangiando le frutta saporitissime.
— Non ci sono più!... esclamò il giovanotto con voce strozzata. Gran Dio!... Dove li ritroveremo noi?
— Vediamo, signor Cornelio. Non è possibile che siano partiti, senza lasciare qualche cosa per noi.
S’inoltrarono sotto gli alberi e giunsero sul luogo ove si erano accampati il capitano, Hans ed il chinese. Vi erano delle tracce: dei pezzi di pane di sagu, gli avanzi d’un fuoco, una piccola tettoia semi-sfasciata, delle penne di colombe, ma null’altro.
— Niente, nemmeno un biglietto che ci indichi la via da loro presa! esclamò Wan-Horn, con disperazione.
Ad un tratto, mentre stavano frugando le erbe ed i cespugli, videro il papuaso, che si era allontanato per cercare le tracce del capitano e dei suoi compagni, ritornare correndo. Il suo volto manifestava una profonda ansietà.
— Là! esclamò egli, mostrando al marinaio il margine della grande foresta.
— Cos’hai veduto? chiese Horn, che ebbe un lampo di speranza. Degli uomini bianchi forse?
— No, ma vieni.
Cornelio e Hans lo seguirono e giunsero sotto alcuni colossali durion. Colà, con grande angoscia, scorsero a terra alcuni