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238 capo xxiii.


— Non ignorano che i papuasi falsificano quei volatili, ma non sanno distinguerli dai veri.

— Così il nostro amico papù, con queste penne fabbricherà due nuovi uccelli.

— E anche quattro, signor Cornelio, e otterrà in cambio delle ghiottonerie o delle bottiglie di liquori o delle armi.

Mentre chiacchieravano, il figlio del koranos1 Uri-Utanate aveva impacchettato le piume entro una grande foglia d’arecche, e aveva messo i due volatili sui carboni.

Mezz’ora dopo i due naufraghi e il selvaggio assalivano l’arrosto che era delicatamente profumato di noci moscate, poi si mettevano in marcia, essendo impazienti di ritrovare il boschetto e quindi i loro compagni.

La foresta non era più fitta come prima, quantunque fosse ingombra di piante arrampicanti conosciute dai malesi col nome di giunta wan (urcola elastica) appartenente al genere delle apocinee, le quali producono una specie di gomma che viene adoperata anche come vischio e da immensi rotang (calamus) specie di liane che hanno un diametro di pochi centimetri ma che raggiungono delle lunghezze inverosimili di duecento e perfino di trecento metri. Vi erano però qua e là degli spazi quasi liberi, i quali permettevano ai naufraghi di procedere molto speditamente.

Il papuaso, da vero uomo dei boschi, li guidava senza mai esitare e mantenendo una via più o meno dritta, ma che doveva condurlo infallantemente al boschetto di noci moscate. Ogni qual tratto guardava il sole per regolarsi, poi raddoppiava il passo scostando i rami o abbattendo o strappando le liane che potevano offendere o impedire il passo ai suoi salvatori.

Verso le tre egli si volse a Wan-Horn, e dopo di aver dato una rapida occhiata in giro, disse:

— Il boschetto è laggiù, dietro quei tek.

— Sono vicini, signor Cornelio! gridò il marinaio. Possono udire un colpo di fucile.

— Ah! esclamò Cornelio. — Finalmente, rivedrò mio zio e Hans.

Alzò il fucile e lo scaricò in aria, ma nessuna deto-

  1. Capo.