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i prigionieri 237


— No, signor Cornelio, serviranno a fabbricare due uccelli del paradiso che poi venderà ai chinesi, ai malesi od ai nostri compatrioti.

— Fabbricherà due uccelli?...

— È la parola esatta, signor Cornelio disse Horn, ridendo.

— Non ti comprendo.

— Mi spiegherò meglio. Vi dirò adunque che gli uccelli del paradiso sono ricercatissimi, sia dai chinesi che li adoperano per abbellire le loro stanze, sia dagli europei, i quali poi li vendono ai musei ed ai grandi negozi antichi di penne di lusso.

I chinesi e soprattutto i malesi, vengono quindi ad acquistarli nella Nuova Guinea o alle isole Arrù, non essendovene in altri luoghi e li pagano bene, guadagnando molto. I papuasi perciò, fanno a quegli splendidi volatili una guerra accanita.

Per non guastarli o rovinare le penne colle freccie, si servono della cerbottana, lanciando dei sottili cannelli, muniti all’estremità superiore d’una pallottola di creta, o di archi che lanciano delle freccie formate con nervature di foglie di latanieri.

Talvolta invece spiano l’albero fra i cui rami gli uccelli vanno a dormire, lo salgono durante la notte e ai primi albori lanciano i loro proiettili. La pallottola di creta basta per stordirli e farli cadere.

— I furbi!... esclamò Cornelio.

— Come ben potete immaginare, con simile guerra accanita, gli uccelli cominciarono a diventare diffidenti e rari; i papuasi allora pensarono di ricorrere all’inganno.

Cambiando, gli uccelli, le penne una volta ed anche due all’anno, gl’indigeni le raccolgono con somma cura, poi prendono delle colombe od altri uccelli bellissimi e somiglianti ai primi e vi accomodano quelle splendide piume dai colori smaglianti. Sanno imitarli così bene e con tanta valentia, che è molto difficile accorgersi dell’inganno e vi assicuro che molti musei di zoologia possiedono delle parozie e delle colombe, credendo in buona fede d’avere dei veri uccelli di paradiso.»

— E i malesi lo sanno?