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230 capo xxii.


— Ma perchè ti sei allontanato?

— Perchè volevo uccidere Orango-Arfaki, capo dei montanari, nemico di mio padre e della mia tribù.

— E invece Orango ti ha preso. Comprendo: si tratta di una vendetta.

— Cosa dice, Horn? chiese Cornelio.

— Ve lo spiego. Dovete sapere che quando due tribù sono in guerra, i più valenti giurano di andare a uccidere i capi nemici e cercano di farlo sapere a tutti.

I capi, messi sull’avviso, tentano con tutti i mezzi di impadronirsi di quei guerrieri, e se vi riescono, li fanno perire bruciati fra fasci di spine infiammate. È un’antica usanza di questi popoli.

— E questo papuaso è figlio d’un capo, a quanto ho potuto comprendere.

— Sì, signor Cornelio e il suo villaggio è situato sulle rive della Durga.

— Allora ci guiderà colà.

— Sì, ma prima cercheremo di ritrovare vostro zio e vostro fratello. I selvaggi sanno guidarsi nei boschi e sanno seguire una traccia per quanto sia lieve.

— Informa il nostro uomo.

Wan-Horn non se lo fece ripetere e narrò al papuaso ogni cosa.

— Voi mi avete salvato la vita ed io sono vostro schiavo, rispose l’indigeno. Cercheremo i vostri compagni, poi vi condurrò tutti da mio padre e vi farò dare una grande piroga, onde possiate tornare al vostro paese. Noi non amiamo gli uomini bianchi dei quali abbiamo avuto di frequente da dolerci, ma mio padre e la mia tribù faranno buona accoglienza ai miei salvatori. Partiamo: l’alba sta per sorgere.

— Ma come farai tu a trovare i nostri compagni? chiese Horn.

— So dov’è il boschetto di noci moscate. Ho cacciato colà i piccioni che mangiano i semi e gli uccelli del paradiso la scorsa settimana.

— Ma hai le spalle abbrustolite.

— Il figlio di Uri-Utanate è un guerriero.

— Andiamo adunque, disse il marinaio.

Il sole cominciava a spuntare, indorando le cima degli