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le vendette dei papuasi 229


— Non temere gli disse, sciogliendogli le mani.

— Non fermiamoci qui, signor Cornelio disse Horn. I selvaggi possono avere dei compagni accampati in questi dintorni, e ritornare in maggior numero.

— Ma vuoi abbandonare questo povero diavolo?

— Se gli preme la pelle, ci seguirà!

— Grazie, disse il papuaso in perfetto olandese.

— Tò!.... esclamò Cornelio, stupito. Conosce la nostra lingua.

— Non mi stupisco, disse Horn. I nostri compatrioti visitano di frequente queste spiagge.

— Vuoi seguirci? chiese Cornelio al papuaso.

Questi non rispose ma lo guardò con due occhi che parevano volessero dire: spiegatevi.

— Non può sapere molte parole, signor Cornelio disse Horn. Forse comprenderà meglio il malese, lingua che è parlata sulle coste occidentali dell’isola.

Ripetè l’invito in quella lingua ed ebbe subito la risposta.

— Sono vostro schiavo: vi seguirò dove vorrete.

— Non sappiamo cosa farne degli schiavi, rispose Wan-Horn. Sarai nostro amico: seguici.

Partirono correndo preceduti dal papuaso il quale indicava a loro i passaggi, allontanando premurosamente i rami e le liane che potevano offenderli o intralciare il loro cammino.

Quantunque le grida degli arfaki non si udissero più, pure continuarono la corsa per una buona ora, sempre inoltrandosi nella tenebrosa foresta.

Giunti in mezzo ad un macchione di piante arrampicanti, si fermarono per riposare.

— Credi tu che i tuoi nemici ci inseguiranno? chiese Horn al papuaso.

— Hanno avuto troppo paura delle armi da fuoco degli uomini bianchi, rispose egli.

— Ma cosa hai fatto?... Da dove vieni?... Chi sei?...

— Sono un papù del fiume Durga, figlio del capo Uri-Utanate.

— Del fiume Durga!... esclamò il marinaio. Ah! Quale fortuna! È molto lontano il tuo villaggio?

— A due giornate di marcia.