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222 capo xxi.


Il marinaio, quantunque fosse in preda a tristi pensieri, per rompere quel discorso scoraggiante accese il fuoco e mise sui carboni alcune costolette di babirussa poi, non avendo il sagu, che era stato lasciato nel boschetto di noci moscate per essere più lesti a inseguire quella disgraziata selvaggina, raccolse alcune frutta dell’albero sotto il quale si erano sdraiati.

Erano grosse come la testa d’un fanciullo, coperte d’una buccia rugosa, ma dentro contenevano una polpa giallastra e tenera che si taglia a fette mettendola ad abbrustolire sui carboni. Si fanno servire da pane e sono eccellenti avendo il sapore di certe specie di zucche e anche un po’ dei carciofi.

La cena però non fu allegra, quantunque fossero affamati; assaggiarono appena le costolette e le frutta dell’albero del pane, tanto erano inquieti ed angosciati.

Spento il fuoco, per non attirare l’attenzione dei selvaggi che potevano abitare in quei dintorni, si stesero fra le erbe, aspettando impazientemente l’alba per rimettersi in cerca dei loro compagni.