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il babirussa | 221 |
palmizi, di canari, di tek, di alberi del ferro, di latanieri, di sagu, di mimose, di alberi del pane, di sensitive giganti, di fichi, di durion, di mangli e di gambir che incrociavano i loro rami e le loro enormi foglie in tutti i modi possibili ed immaginabili.
Di tratto in tratto si arrestavano per sparare un colpo di fucile, e tendevano gli orecchi, sperando di ricevere una risposta, ma invano.
Alla sera, sfiniti per quella rapida marcia, affamati, inquieti, s’arrestarono ai piedi d’un albero del pane dal tronco colossale.
— Povero zio! disse Cornelio con voce triste. Fra quali angosce sarà!
— Lo ritroveremo, signor Cornelio, disse Wan-Horn, per consolarlo. Domani all’alba ci rimetteremo in cammino e sono certo che udremo le sue fucilate.
— Ma quale triste notte passerà, Horn. Forse ci crederà prigionieri dei papuasi e fors’anche morti.
— Sa che siamo armati e che siamo tali uomini da non farsi prendere da quei mangiatori di carne umana. Non disperiamo; Dio veglia su tutti.