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218 | capo xxi. |
— Toccato? chiese Wan-Horn, che era rimasto indietro di due o trecento passi.
— Non si muove più, rispose il cacciatore.
— Che cena, signor Cornelio!... Costolette deliziose come quelle di maiale!
— Varranno più delle colombe profumate, Horn.
Si cacciò in mezzo alle liane e raggiunse l’animale, il quale aveva cessato di dibattersi. Era un vero babirussa così chiamato dai malesi e che vorrebbe significare porco-cervo, quantunque nulla abbia di comune con questi ultimi animali.
Appartiene alla specie dei pachidermi moltungulati, ma forma un genere particolare della famiglia dei porci.
Somiglia infatti al maiale, ma ha il collo più grosso, il grugno assai sporgente, gli occhi piccolissimi, le gambe alte e un’andatura più snella e molto più rapida e forse per questo i malesi lo chiamano porco-cervo.
Il pelo non è rado come nei maiali, ma corto e lanoso grigio-rossastro, e la bocca è armata da due denti assai lunghi e ricurvi, che si ripiegano verso gli occhi.
Vivono i babirussa nelle folte foreste delle isole Malesi, in Papuasia e anche a Ceylan, ma presi da giovani si addomesticano facilmente. Gl’indigeni li cacciano attivamente e non hanno torto, essendo la loro carne eccellente quanto quella dei nostri maiali.
— È morto? chiese Horn, giungendo fra le liane.
— Ha ricevuto la seconda palla nel cranio.
— Tagliamo un pezzo per ora e ritorniamo presso al capitano.
— Non ce lo mangeranno le fiere?
— Le belve feroci della Nuova Guinea sono molto problematiche, signor Cornelio. Si dice che vi siano delle tigri, ma io non ne ho mai veduta una.
— Ma i pitoni, i coccodrilli...
— Non sono dappertutto. Ritorniamo, signor Cornelio: siamo lontani almeno quattro chilometri e ci si perde facilmente in questa foresta.
— Non hai la bussola?
— No, l’ho lasciata al capitano.
— Allora affrettiamoci, Horn. Mio zio può inquietarsi.
Il marinaio con pochi colpi di scure fece l’animale a pezzi,