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gli alberi sagu 199


dinanzi a loro. Pare che si dirigano col tatto e che posseggano anche un udito acutissimo, mentre invece il loro odorato sarebbe mediocre. Andiamo, ragazzi; il pane ci aspetta.

— Ma dov’è? chiesero i nipoti.

— Presto lo troveremo.

Si rimisero in marcia, mantenendo costantemente la direzione primitiva, passando da una foresta all’altra e raccogliendo di quando in quando delle frutta, ma un’ora dopo il capitano si arrestava in mezzo a un’altra radura, assai ristretta, circondata da foreste.

Egli indicò un albero alto cinque o sei metri, del diametro di un metro, fornito d’un ciuffo di foglie lunghe parecchi metri e che invece di crescere dritto, era piegato obliquamente.

— Ecco il nostro pane, disse.

— Il nostro pane! esclamarono i due giovinotti stupiti.

— E molto delizioso, signori miei, disse Wan-Horn. La farina è matura, poichè vedo le foglie coperte d’una polvere giallastra.

— Ma dov’è nascosta questa farina?

— Nel tronco dell’albero, signor Cornelio.

— Vuoi scherzare, vecchio Horn.

— No, ve lo assicuro: ora lo vedrete.

Il marinaio afferrò la scure e si mise a picchiare furiosamente il tronco dell’albero, il quale però opponeva una resistenza incredibile. Il capitano dovette surrugarlo dopo un quarto d’ora e finalmente la pianta, recisa circolarmente, a trenta centimetri dal suolo, cadde con grande fracasso.

— Guardate, disse il marinaio.

Hans, Cornelio ed il giovane pescatore s’avvicinarono e con loro grande sorpresa videro che quel tronco era ripieno d’una materia leggermente rosea e molto dura, a giudicarla a colpo d’occhio.

— Che cos’è questa? chiese Cornelio.

— Farina, o, se ti va meglio, sagu, disse il capitano.

— Ma l’ho udito nominare ancora, anzi l’ho assaggiato a Timor, zio.

— Ti credo, crescendo anche in quell’isola.

— E ti dirò che l’ho trovato molto nutriente e buonissimo.