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196 | capo xix. |
pescatori di trepang malesi e chinesi e dai nostri compatrioti che si recano colà ad acquistare gusci di tartarughe, noci moscate, garofani e uccelli del paradiso imbalsamati.
— È vero, Horn; non avevo mai pensato a quel porto.
— Sapreste dirci se è molto lontano?... Credete che si possa raggiungerlo?
— Lo temo, Wan-Horn, trovandosi a settentrione della penisola occidentale, al di là della baia di Geelwink. Bisognerebbe attraversare più di mezza isola, passando fra foreste impenetrabili e popolate da gente feroce. Ho un altro progetto però, che mi sembra migliore e più facile.
— Gettatelo fuori, signor Stael.
— Tu sai che al sud-ovest si scarica la Durga, che è uno dei più considerevoli fiumi dell’isola. Cerchiamo di raggiungerla, scendiamola fino alla foce costruendo o una zattera o scavando una scialuppa nel tronco d’un albero e di là ci spingeremo verso le isole Arrù che sono pure frequentate dai nostri compatrioti e dai pescatori di trepang. Non deve essere lontana più di venti o trenta leghe, ossia ottanta o centoventi chilometri e possiamo giungere sulle sue sponde fra sei od otto giorni.
— Bell’idea, capitano! esclamò Wan-Horn.
— E non possiamo costeggiare l’isola, evitando così le foreste? chiese Cornelio.
— Raddoppieremmo la via, disse Wan-Stael. La costa meridionale è assai frastagliata e verso il sud-ovest s’avanza verso il mare per molte e molte leghe. Non basterebbe un mese per giungere alla Durga.
— Ma siamo senza viveri, zio.
— Non ci metteremo in marcia senza provviste, Cornelio. Non possiamo contare sempre sulla selvaggina, la quale può mancare.
— Ma io non vedo altro che delle frutta molto deliziose sì, ma poco nutritive.
— Porteremo con noi una grossa provvista di biscotti e migliori di quelli che ci hanno rubati.
— Hai trovato qualche fornaio o qualche campo di frumento? chiese Cornelio, ridendo.
— Nè l’uno nè l’altro, ma ti dico che in breve avremo del pane a volontà. È vero, Horn?