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192 capo xviii.


— Poveri anfibi!.. Perdono la casa e rifanno un abituro forse incomodo.

— Pure vivono, trascinando il loro corpo deforme ed il loro guscio imperfetto, lungo le sponde dei fiumi.

— Deve essere un martirio atroce, zio, disse Hans.

— Certo, specialmente quando si sentono scorticare dal coltello del cacciatore e privare della loro casa protettrice. Wan-Horn, dimentichi la colazione.

— È vero, capitano, disse il marinaio.

Aiutato dal chinese raccolse parecchi rami secchi e accese un allegro fuoco. Quando furono semi consumati, prese una testuggine, la decapitò con un colpo di coltello e senza estrarla dal guscio, la depose sui carboni ardenti.

Ben presto un odore appetitoso si sparse nella foresta. La testuggine si cucinava nel suo guscio, friggendosi nel proprio grasso.

Quando fu cotta appuntino, il marinaio l’aprì con pochi colpi di scure, e depose quella massa di carne deliziosa e profumata dinanzi ai suoi compagni.

Non sarebbe necessario il dire che tutti fecero onore all’arrosto, dopo venti ore di digiuno. Ne divorarono mezzo, mettendo il restante in serbo pel pranzo.

Terminato il pasto, il capitano ed il marinaio accesero le loro pipe, poi diedero il segnale della partenza, portando con loro la seconda tartaruga che contavano di arrostire all’indomani.

Procedendo cautamente ma con notevole velocità, verso il mezzodì giungevano presso le rive del fiume, sulle cui sponde speravano di ritrovare la loro scialuppa.