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la capanna aerea 163


che misuravano non meno di sei metri di lunghezza su uno di larghezza. Liane interminabili, nepentes o piante arrampicanti, s’intrecciavano dovunque, correndo da un tronco all’altro, formando delle reti immense, capaci di accalappiare perfino gli elefanti, mentre da terra sorgevano radici mostruose le quali serpeggiavano qua e là, rendendo difficile il passaggio, specialmente con quell’oscurità. Cornelio procedeva con precauzione per non urtare contro quei centomila ostacoli e soprattutto per non mettere il piede su qualcuno di quei serpenti pitoni, lunghi sette e perfino otto metri, dotati d’una forza così prodigiosa da stritolare un bue fra le loro spire e che sono così numerosi nelle foreste delle isole malesi e anche in quelle della Nuova Guinea.

Camminavano da un’ora, sempre allontanandosi dal fiume per far perdere le loro tracce ai pirati, quando si trovarono improvvisamente dinanzi ad una piccola pianura, circondata da altre foreste.

Con sua grande sorpresa, Cornelio vide elevarsi, quasi in mezzo a quel terreno scoperto, una massa nera, enorme, che pareva sospesa in aria, ad un’altezza di quattordici o sedici metri.

— Zio! esclamò.

— Cos’hai scoperto? chiese Wan-Stael, uscendo dalla foresta.

— Guarda!

— È un’abitazione di papù, disse il capitano. Brutta sorpresa, se è abitata.

— Un’abitazione!...

— Sì, Cornelio. I papù, per non farsi sorprendere dai nemici o dalle fiere, fabbricano le loro capanne su dei pali giganteschi.

— Ma quella è immensa.

— Abitano parecchie famiglie in quelle case aeree. Sono costruzioni che meritano di essere vedute.

— Che sia abitata? chiese Wan-Horn.

— Lo sapremo subito. Alla sera gli inquilini ritirano i bambù intagliati che servono a loro di scale e se a quella capanna mancano, sarà segno che è abitata.

— Se la fosse, i papù avrebbero udito i nostri spari e non dormirebbero, osservò Hans.