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96 | emilio salgari |
— Per centomila merluzzi!... — esclamò padron Vincenzo, tendendo le pugna. — Un lume!...
— Un fanale di nave!... — esclamarono Roberto e Michele, con voce rauca.
Un punto luminoso, a luce rossa, si rifletteva sulle oscure acque del lago, ad una grande distanza, muovendosi lentamente. Non poteva essere un fuoco prodotto da qualche eruzione di gaz ed acceso per qualche causa ignota, poichè in tale caso non avrebbe avuto certamente quella tinta.
No, doveva provenire da qualche fanale colle lenti rosse, e più probabilmente da un fanale di posizione di una nave.
— Per mille tuoni! — esclamò padron Vincenzo. — Chi sono quegli uomini che solcano le acque di questo canale, che noi credevamo ignorato da tutti? Che vi siano degli esseri umani che vivono fra queste tenebre? Cosa ne dite, dottore?
— Che il nostro segreto non è stato gelosamente conservato.
— Dunque voi credete...?
— Che altri ci abbiano seguìti e preceduti.
— Allora non può essere che quel cane di slavo!...
— È probabile, Vincenzo.
— Bisogna raggiungerlo, dottore!... Se egli giunge allo sbocco del canale prima di noi, ci carpirà la scoperta.
— Lo raggiungeremo, Vincenzo. Quanto credete che quel lume sia lontano?
— Forse due miglia — risposero i tre pescatori, ad una voce.
— Questo lago deve avere adunque una vastità straordinaria. Una vera fortuna, pel capitano Gottardi, di averlo trovato sul suo cammino.
«Amici, scendiamo e cerchiamo la nostra scialuppa.
— Sarà possibile la discesa? Con questa oscurità correremo il pericolo di romperci il collo.
«Avete molti zolfanelli ancora?
— Una mezza scatola.
— Accendetene uno: io e Roberto tenteremo la discesa prima di voi.
I due pescatori, dopo d’aver osservata attentamente la scarpa formata dall’accumularsi delle lave, si calarono prudentemente in quel tenebroso abisso, aggrappandosi colle mani alle creste e puntando i piedi nelle fessure.
Il dottore, curvo sulla fenditura, accendeva uno dopo l’altro i cerini, cercando di proiettare la luce verso i due coraggiosi.
La discesa era più facile di quanto avevano dapprima creduto. Le lave, precipitando da quella fenditura, si erano accumulate in modo da formare come una serie di ondate rotolanti sul pendìo d’una montagna. Raffreddandosi la superficie, avevano conservate quelle strane forme, però qua e là i due pescatori incontravano dei pendii ripidissimi, cosparsi di lave, detti a corda, perchè in realtà somigliano ad enormi gomene arrotolate alla rinfusa, o ad ammassi di budella sparse da una enorme ventraia.
Il dottore e Michele seguivano con ansietà la discesa dei due corag-