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46 emilio salgari

— C’è nessuno, dottore? — chiese arrestandosi.

— Credete che ci siano dei leoni o delle tigri, quaggiù? — rispose il signor Bandi, ridendo. — Forse vi sarà qualche topo, ammesso che questa caverna abbia qualche comunicazione colla superficie della terra.

— Dei topi non ho paura. Ve n’erano tanti nella mia barca da pesca!

— Allora potete lasciare la scure nella scialuppa. Guardate: il luogo mi sembra propizio per prepararci la cena e per fare una bella dormita.

— Hum!... E vi fiderete voi a chiudere gli occhi?

— Come che fossi nella mia stanza, Vincenzo.

— Credo però che faremo bene a vegliare per turno.

— Cosa temete?

— Non lo so, ma vi dico che noi veglieremo.

— Come volete, Vincenzo — rispose il dottore.

Legata la scialuppa alla punta d’uno scoglio, Michele e Roberto sbarcarono portando con loro una lampada a spirito, delle gallette, una bottiglia di vino, del formaggio salato ed il pezzo di pesce-luna che volevano cucinare nella pentola, per poi condirlo con dell’olio e del succo di limone.

La cena, preparata in meno di mezz’ora da Michele, nominato lì per lì cuciniere della spedizione, fu divorata con un appetito invidiabile, quantunque la carne del pesce-luna non fosse così eccellente, come ognuno d’altronde s’aspettava.

Dopo quattro chiacchiere ed una fumata, stesero le coperte e si sdraiarono sulla morbida sabbia di quel piccolo seno; però i tre pescatori, avendo rinunciato all’idea di vegliare, rassicurati dal profondo silenzio che regnava in quel luogo, si misero accanto le scuri e tennero alla cintola i loro coltelli.

— Buon riposo, dottore, — disse padron Vincenzo, — e speriamo che nessuno venga a turbare il nostro sonno.

— Sì, qualche topo — rispose il signor Bandi, e chiuse gli occhi.

Poco dopo tutti quattro russavano in modo tale da svegliare l’eco della grande caverna.

Il sonno dei tre pescatori non durò molto. Temendo chissà mai quali pericoli, di quando in quando si svegliavano e gettavano all’ingiro degli sguardi inquieti, specialmente verso le rupi giganti, che fra quell’oscurità, appena rotta dalla pallida luce d’una piccola lampada, prendevano l’aspetto di giganteschi fantasmi.

Sembrava a loro talvolta di veder agitarsi dei folletti nelle tenebrose cavità delle rocce o di veder vagolare delle ombre sulle acque del lago. Quel silenzio profondo, non più rotto dai mormorìi dell’acqua, e quell’oscurità che pareva diventasse sempre più densa, metteva delle strane paure nei loro animi.

Tuttavia, rassicurati un po’ o meglio vinti dalla stanchezza, finirono col riaddormentarsi l’uno vicino all’altro, onde essere più pronti ad aiutarsi vicendevolmente nel caso che un pericolo venisse a minacciarli.