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i naviganti della meloria | 171 |
— Dottore — disse padron Vincenzo. — Affrettiamoci o noi verremo alle prese colla fame e colla sete.
Il signor Bandi esaminò la frana su tutta la sua fronte per scegliere il punto migliore, quindi sbarcò e arrampicatosi sulle rocce accumulate insieme al terriccio, giunse presso la vôlta.
Avendo osservato che un masso enorme, composto di tufo, si appoggiava solidamente ai massi inferiori, lo mostrò ai suoi amici, dicendo:
— Assaliremo questo.
— Sarà molto più duro della terra — osservò padron Vincenzo.
— Questo è vero, ma avremo il vantaggio di non vederci crollare addosso la galleria da noi scavata. Impiegheremo doppio tempo, però lavoreremo con maggior sicurezza.
— Quale spessore avrà questa rupe?
— Lo sapremo domani o posdomani.
— Che si spinga fino dall’altro lato del canale?
— Lo spero. Mano ai picconi, amici e forza di braccio.
Per non esaurirsi tutti in una volta e non potendo d’altronde lavorare tutti uniti, si divisero.
Michele e padron Vincenzo, i due più robusti s’incaricarono della prima ora di lavoro; il dottore e Roberto dovevano poi surrogarli e nel frattempo sciogliere la zattera.
I due pescatori, dopo d’aver osservata attentamente la vôlta onde evitare di venire schiacciati da qualche masso male equilibrato, afferrarono i picconi e si diedero a battere la gran rupe con vero furore, facendo saltare a destra ed a manca degli scheggioni del peso di qualche chilogrammo.
Fortunatamente quel tufo era di qualità friabilissima, sicchè i picconi avevano buon giuoco. In una diecina d’ore potevano aprire una galleria di mezza dozzina di metri e fors’anche di più.
Dopo la prima ora, il dottore e Roberto surrogarono i due lavoratori, assalendo anche essi la rupe con grande energia.
Per otto ore continue i quattro esploratori batterono la rupe, poi stanchi, trafelati, sostarono per mangiare un boccone.
Il tunnel scavato era già molto innanzi, però non pareva che fosse al termine, anzi, la roccia aveva dato un suono così sordo da far disperare padron Vincenzo.
— Ne avremo per molto, temo — disse al dottore. — Eppure abbiamo lavorato meglio dei minatori.
— Non perdiamoci di coraggio, amico. Colla pazienza si arriva dappertutto.
— Ebbene sono assai inquieto, dottore. Non abbiamo che tre litri d’acqua, avendone consumati già due.
— La economizzeremo, Vincenzo.
Terminata la cena si rimisero al lavoro con novello vigore, addentrandosi nella galleria. Il secchio di catrame era stato portato presso l’imboccatura onde i lavoratori potessero vederci, però il fumo che sprigionava quella torcia primitiva dava non poco fastidio a tutti.