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i naviganti della meloria 159

lare verso l’uscita del tunnel con una velocità però molto scarsa, forse di due miglia all’ora.

— Possiamo accontentarci — disse il signor Bandi. — Già non dobbiamo essere molto lontani dallo sbocco.

Per tre ore continuarono a scendere, poi si trovarono immobilizzati. La marea stava per cambiare, era quindi necessario ricorrere ai remi.

Quel cambiamento del flusso, provocò un’ondata piuttosto alta, la quale fece rollare vivamente l’apparecchio, minacciando di scagliarlo contro l’una o l’altra delle parti, però quel pericolo fu evitato a tempo. La discesa fu ripresa coi remi.

La galleria si mostrava anche in quell’ultima sua parte, sempre eguale. Le sue pareti anzi erano meglio lavorate, più lisce e di quando in quando, a destra od a sinistra, gli esploratori trovavano delle profonde escavazioni destinate senza dubbio a servire di ricovero alle navi che potevano incontrarsi.

Navigavano da un paio d’ore, avanzando molto lentamente in causa della corrente contraria, quando padron Vincenzo, che si trovava a prora, mandò una esclamazione di stupore.

— Cosa avete Vincenzo? — chiese il dottore.

— Una nave — esclamò il lupo di mare.

— Una nave? Sognate, Vincenzo?

— No, per centomila merluzzi!

— Ma dov’è?

— Guardate, là, entro quell’escavazione.

Il dottore si volse vivamente e alla luce delle due torce che erano state piantate nel centro della zattera, scorse entro una specie di caverna una massa enorme galleggiante sulle acque del canale.

— Sembra un pontone — disse. — Accostiamolo, amici.

Con pochi colpi di remo spinsero la zattera entro quell’ampia caverna e fecero il giro del galleggiante. Si trattava d’una vecchia galera, priva dell’alberatura, colla prora e colla poppa altissime e ancora ben conservata quantunque dovesse contare parecchi secoli d’esistenza.

Avendo trovato sul tribordo una scaletta di corda, il dottore e padron Vincenzo vi si issarono, mettendo piede sulla tolda.

Quell’antico vascello, probabilmente condotto colà dal capitano Gottardi, misurava circa quaranta metri da prora a poppa e nove da babordo a tribordo.

Era di forma massiccia costruita in quercia e vi si vedevano ancora i buchi che dovevano aver servito per gli alberi.

Dispersi pel ponte si vedevano picconi, mazze, zappe, badili, botti, secchi vuoti, recipienti di ferro che dovevano aver contenuto della polvere da mine, poi delle armi arrugginite, scudi, spadoni ed alcune vecchie armature d’acciaio.

Nella sentina v’eran pure molti attrezzi da minatori e una grande quantità di legname e di materiali da costruzione.

Nella sentina invece vi era molta acqua. Il legname della nave, corroso dal tempo, doveva aver ceduto e l’acqua era filtrata.

— Mi stupisce come questa nave non sia affondata — disse il dottore.