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II.
Un documento misterioso.
Lo slavo, impugnata la lima più lunga, s’era messo al lavoro con accanimento feroce, facendola stridere fortemente contro l’acciaio del cofanetto. La speranza di trovare dentro il tesoro sognato, raddoppiava le forze, già erculee, di quell’uomo.
Le cerniere della cassetta, quantunque un po’ rose dall’umidità salina, opponevano una tenace resistenza, essendo d’una robustezza eccezionale, però sotto gli incessanti sforzi di quei muscoli poderosi, non dovevano tardare a cedere.
I quattro marinai veneti, seduti all’intorno, assistevano al lavoro senza scambiare una parola, lasciando al compagno la cura di condurre a termine quella non facile impresa. D’altronde, al pari del loro padrone, non avevano gran fiducia sull’esistenza di un tesoro e perciò non si entusiasmavano. Tutt’al più ammettevano l’esistenza di qualche documento anticamente gettato in mare, chissà mai in seguito a quali circostanze. Dopo un quarto d’ora d’aspro lavoro, una delle due cerniere, segata dalla lima, cadeva spezzata.
Lo slavo si asciugò il sudore che gl’inondava la fronte poi senza guardare in viso nessuno, intaccò l’altra con crescente accanimento. Essendo questa più corrosa dai sali marini, cedette più presto.
Il gigante con un rapido gesto aveva strappato il coperchio ed aveva cacciato il viso dentro il cofano. Una rauca imprecazione gli sfuggì.
Padron Vincenzo e gli altri quattro marinai s’erano affrettati ad alzarsi. Come avevano previsto, quel cofano non conteneva alcun tesoro, però in fondo vi era un astuccio di pelle rossa, assai vecchia, a quanto pareva.
Padron Vincenzo lo aveva subito preso ed aperto.
Un rotolo di cartapecora, assai ingiallita dal tempo e forse da un po’ d’umidità e legata da un filo dorato leggerissimo, era caduto al suolo.
— Cosa può contenere questa carta? — si chiese il lupo di mare.
— Il tesoro di Simone — disse Michele, ridendo.
— Vediamo! — esclamarono tutti.
Padron Vincenzo ruppe il filo e spiegò la pergamena.
Tutti gli s’erano affollati intorno, ma dobbiamo dire subito che nessuno capì nulla.
Quella carta conteneva molte righe, d’una scrittura assai grossa, un po’ sbiadita dall’umidità penetrata pure entro il secondo cofano, poi