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i naviganti della meloria 9

I cinque marinai, impazienti di sapere di che cosa si trattava, lavoravano con lena febbrile. Anche padron Vincenzo aveva messo in opera i suoi poderosi muscoli, aiutandoli efficacemente.

Mentre continuavano a ritirare la rete, i sei uomini si scambiavano le loro supposizioni, le une più disparate delle altre.

— Che abbiamo pescata qualche àncora? — diceva Michele.

— Io dico invece che abbiamo preso qualche mostro marino — diceva Roberto, un bel giovanotto, bruno come un meridionale, dai baffetti nerissimi e dagli occhi ardenti.

— Ma no — disse Simone Storvik. — Io scommetterei che noi abbiamo un carico di morti entro la rete.

— Al diavolo i tuoi morti!...

— Tacete, pappagalli! — gridò padron Vincenzo. — Chiacchierate come una banda di oche!... Su, un buon colpo ancora, e vedremo cosa verrà a bordo. Mille tuoni!... Cosa si vede?

Padron Vincenzo si era curvato sul bordo, e guardava fisso l’acqua. Sotto la poppa, avvolta fra le maglie della rete, appariva una massa nera, non ancora ben definita, che non doveva essere però un pesce.

— Per San Pietro in Nembo! È una cassa da morto! — disse Simone Storvik.

— Vuoi lasciare in pace i tuoi morti, gigante pauroso! — esclamò il padrone. — Ohe! Issa ancora.

Con un’ultima strappata la rete uscì dall’acqua, mostrando agli sguardi stupiti dell’equipaggio una specie di forziere, il quale si era imbrogliato fra le maglie.

Un grido sfuggì ai cinque marinai:

— Un tesoro!...

Padron Vincenzo afferrò con ambe le mani la rete e trasse quella specie di cassa fino sulla murata. Allora, presala fra le braccia, non ostante il suo peso, la sollevò sopra il bordo, deponendola presso la barra del timone.

Tutti sei si erano curvati su quell’oggetto così stranamente pescato in fondo al mare, guardandolo cogli occhi ardenti, avendo tutti la speranza che si trattasse di qualche forziere pieno d’oro.

Era una cassa di forma quadrata, alta un mezzo metro, di quercia, con delle sculture all’ingiro, cerchiata in ferro, e arrobustita da numerose placche di acciaio.

Nessuna iscrizione all’esterno; invece molta ruggine sulle parti metalliche, specialmente sui cerchioni che, come si disse, erano di ferro. Il sale marino li aveva già intaccati fortemente, segno evidente che erano rimasti immersi lunghissimo tempo, forse moltissimi anni.

— Come è venuto a galla questo forziere? — si chiese padron Vincenzo. — Non comprendo come la rete abbia potuto prenderlo.

— La cosa è spiegabilissima, padrone — disse Michele. — Guardate qui, queste due piastre, che si sono un po’ staccate; le maglie vi si sono imbrogliate e la cassa non si è più staccata.

— E la resistenza che opponeva? Come la spieghi tu?