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62 | emilio salgari |
– Nessuna, poichè non abbiamo nemmeno una vela.
– Un’idea, signore.
– Parlate.
– Non possiamo utilizzare i tappeti del quadro di poppa, le coperte delle cabine, le lenzuola...
– Fulmini!... E quest’idea non m’era ancora venuta! Aier-Raja, a me!... Grazie, signore!...
O’Paddy, il malese ed il siciliano scesero a precipizio nel quadro di poppa e poco dopo ritornarono carichi di coperte di lana, di tappeti e di lenzuola.
Si misero al lavoro senza perdere tempo, aiutati da Amely e dal signor Held.
Mancavano gli alberi, essendo stati abbattuti dall’equipaggio per costruire la zattera, ma vi erano ancora alcuni pennoni, un picco ed una boma della randa e funi in grande quantità.
In pochi minuti rizzarono tre alberetti, vi attaccarono i pennoni e tesero meglio che potevano le coperte più resistenti onde tenessero testa alle furiose raffiche.
Quando tutto fu pronto, O’Paddy salì sul cassero, afferrò la ruota del timone e vi diede mezzo giro, gridando:
– La prua all’ovest!... Attenti alla manovra!...
CAPITOLO VIII.
Il naufragio.
L’Oregon sotto la spinta delle raffiche che urtavano con violenza contro quelle diverse vele, parve che si rialzasse e che si raddrizzasse. Rimase qualche minuto fermo, lasciandosi dondolare dai marosi, poi balzò sui flutti e si mise a veleggiare verso quella costa, che appariva sulla fosca linea dell’orizzonte.
Non rollava più disordinatamente come prima affondando pesantemente negli abissi mobili come un corpo morto, ed imprimendo all’acqua racchiusa nella camera delle macchine quegli urti violenti che minacciavano di sfondare le ultime paratie stagne. Quelle vele,