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i naufragatori dell'«oregon» 61


– Fulmini!... – ripetè O’Paddy, lanciandosi verso il boccaporto della sala della macchina. – Che gli scompartimenti stagni abbiano ceduto?

Senza badare al pericolo che correva, si precipitò giù dalla scala, seguìto dal soldato. Giunti in fondo, s’accorsero che l’acqua aveva già coperti due gradini, ma pareva ora si fosse arrestata.

– Ha ceduto uno scompartimento, ne sono certo – disse il siciliano. – Non odo più l’acqua irrompere attraverso lo squarcio.

– Lo credete? – chiese O’Paddy.

– Sono sicuro di non ingannarmi.

– Resisteranno gli altri?

– Mi hanno detto a Manilla che la nave era quasi nuova, capitano.

– Non vorrei che questa nuova massa d’acqua spostasse il vascello. È meglio prevedere che lasciarsi sorprendere.

– Cosa volete dire? Sono stato marinaio anch’io un tempo.

– Voglio dire che cercheremo di radunare dei rottami per poter formare una zattera.

– Ma l’opera morta è stata distrutta, capitano.

– È vero, ma rimane il tetto delle cucine e per noi può bastare.

– Infatti siamo solamente in sei.

– Risaliamo.

Si issarono sulla scala e tornarono in coperta. Il signor Held, Amely e Dik li attendevano in preda alla più viva ansietà.

– Affondiamo? – chiese l’olandese.

– No – rispose O’Paddy. – Ha ceduto uno scompartimento, ma l’Oregon resiste ancora.

– Le onde non ne sfonderanno un altro?

– Forse, ma allora ci troveremo presso terra. Guardate: ecco laggiù le coste del Borneo.

Infatti, verso occidente, fra uno squarcio di vapori, si scorgeva confusamente una sponda sormontata da alte catene di monti. Era ancora lontana, ma il mare ed il vento spingevano l'Oregon verso quella direzione.

– Siamo salvi!... – esclamò Amely.

– Non ancora, signorina – disse O’Paddy. – Abbiamo quaranta miglia da percorrere, però credo che l’Oregon resisterà.

– Ma non possiamo tentare alcuna manovra? – chiese Held.