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i naufragatori dell'«oregon» | 55 |
grida di spavento dei passeggieri, poi la voce possente della tempesta le aveva soffocate e più non erano giunte agli orecchi dei naufraghi rimasti a bordo.
L’Oregon, sollevato dai marosi, trabalzava disordinatamente come una palla elastica. Si raddrizzava a prua con mille scricchiolìi, s’inabissava a poppa facendo balzare l’acqua fino sul coronamento, si rovesciava spaventosamente sul fianco ferito or mostrando ed or tuffando l’immenso squarcio e imbarcando nuove onde, che poi tornavano ad uscire con sordi boati.
Cupi fragori salivano dalla camera delle macchine, entro la quale si cozzavano rumorosamente i pezzi fracassati delle caldaie e gli attrezzi usciti dai depositi e rotolavano gli ammassi di carbone.
Però quel vascello resisteva sempre. Si avrebbe detto che non voleva lasciarsi inghiottire da quel mare irato e che voleva finire i suoi giorni su di una spiaggia, anzichè in fondo agli umidi baratri.
Le onde ed il vento già lo spingevano verso l’ovest, in direzione della costa del Borneo. Doveva essere ben lontana quella terra, ma se quella spinta continua non veniva meno, doveva presto o tardi incontrarla sulla sua rotta.
O’Paddy, l’audace marinaio che non si spaventava nè degli uomini, nè dei furori della sconvolta natura, aveva afferrata la ruota del timone e cercava di mantenere l’Oregon sulla buona via e di presentare alle onde la solida poppa.
Guardava con occhio tranquillo, quasi sorridente, quel mare minaccioso e pareva che lo sfidasse. Aier-Raja, al suo fianco, masticava beatamente un pezzo di sigaro di Manilla.
Non era meno tranquillo del padrone e pareva che non si preoccupasse affatto della bufera e della cattiva, anzi quasi disperata situazione della nave.
Il signor Held, Amely e Dik, seduti ai piedi del cassero, guardavano ansiosamente le onde che montavano a bordo, frangendosi sulle cime delle murature semi-sventrate dai marinai imbarcatisi sulla zattera, ma si rassicuravano vedendo la tranquillità di O’Paddy.
Il soldato delle truppe coloniali, che non aveva voluto abbandonare la nave, si era invece inerpicato sulla caminiera della macchina e di là spingeva i suoi sguardi verso l’ovest, come se cercasse di scoprire la costa del Borneo.