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i naufragatori dell'«oregon» 43


Una rauca imprecazione gli uscì dalle labbra contratte.

– Ho affrontato la morte per vedermeli ancora dinanzi e coi loro documenti in tasca – mormorò egli. – Lo sapevo di essere nato sotto una cattiva stella.

– È vero, padrone – disse il malese.

L’irlandese incrociò le braccia mordendosi le labbra a sangue.

– Ebbene? – chiese egli, guardando il malese.

– Penso, padrone, che la fortuna li protegge.

– Ma non sono ancora giunti a Timor.

– Lo so.

– E prima che vi giungano ci vorrà del tempo.

– Specialmente ora, che l’Oregon è immobilizzato.

– Cosa mi consigli di fare?

– Cercare di guadagnare tempo.

– Spiegati, Aier-Raja.

– Bisogna impedire a loro d’imbarcarsi nelle scialuppe. Chissà!... Fra ventiquattr’ore l’Oregon potrebbe affondare.

– E come impedire a loro d’imbarcarsi?

Un sorriso misterioso sfiorò le labbra del malese.

– All’alba nessuno s’imbarcherà – disse poi.

– Ma se le scialuppe sono pronte?... Basta calarle in mare.

– Ma l’alba non sorgerà che fra tre ore.

– E così?

– Dico che ho il tempo necessario per fare ciò che penso. A più tardi, padrone.

Ed il malese, senza spiegarsi di più, s’allontanò verso poppa, scomparendo fra le tenebre.

Intanto la situazione dell’Oregon peggiorava. Quantunque gli scompartimenti stagni impedissero che affondasse, si piegava pericolosamente sul fianco squarciato, in causa dell’enorme quantità d’acqua entrata nella camera delle macchine, la quale si rovesciava sul babordo con grande foga e con muggiti paurosi.

Per maggior disgrazia la bufera, anzichè calmarsi, cresceva di violenza, sollevando burrascosamente il mare delle Celebes. Le onde correvano all’assalto dello steamer con mille fragori, urtandolo furiosamente, montando talvolta fino sopra i bordi e lanciandosi in coperta. Lo circondavano da ogni lato, lo sollevavano, lo spingevano innanzi, allontanandolo sempre più dalle coste del Borneo, e minac-