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36 emilio salgari


– Basta... partite e buona fortuna.

O’Paddy strinse la mano che il complice gli porgeva, poi salì sul Wangenep mettendosi alla ribolla del timone.

– Aier-Raja – disse, rivolgendosi al malese. – Abbiamo la pressione necessaria?

– Sì, padrone.

– Fa’ ritirare le gomene.

– Dove andremo ad aspettare l’Oregon?

– Sulle coste del Borneo, presso le isole Sulù.

– Passerà di là?

– Sì, e potremo vederlo per tempo.

L’equipaggio mindanese, al comando dato, ritirò le gomene che erano state legate attorno a dei vecchi cannoni mezzi sepolti sulla gettata, e le ruote cominciarono a mordere le acque con cupo fragore, sollevando nembi di spuma.

– Addio, signor Wan-Baer – disse un’ultima volta l’irlandese. – Custodite per bene il mio capitale.

L’armatore, che era rimasto sul molo, colle braccia strettamente incrociate ed il capo chino sul petto, come se fosse immerso in tetri pensieri, fece un legger saluto colla mano.

Il battello lanciò un fischio acuto e si mise a scendere il Passig, con una velocità notevole, passando davanti alle navi ancorate a Bidondo.

Le tenebre erano calate sul fiume, ma il quartiere popolare scintillava di migliaia di lumi, i quali si rispecchiavano nelle cupe acque con leggieri tremolìi. Anche le giunche chinesi, quei barocchi bastimenti, pesanti, tozzi, avevano acceso sulle cime degli alberi le monumentali lanterne di carta oliata e variopinta.

Il battello, lasciata la foce del fiume e oltrepassato il faro, la cui luce di quando in quando mandava dei lampi per non confonderla, ad una certa distanza, con una stella, si lanciò a tutto vapore attraverso la baia ed uscì in mare scomparendo fra le tenebre.

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Quattro giorni dopo, come O’Paddy aveva promesso, il Wangenep speronava l’Oregon all’entrata del mare delle Celebes.