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prima e poi spagnuolo, era invece un uomo più alto, più tarchiato, più muscoloso, e s’indovinava anche a prima vista che doveva essere un uomo risoluto, deciso a tutto.

La sua ampia fronte era coperta di già profonde rughe, come se entro quel cervello fossero imperversate tremende bufere; i suoi occhi neri avevano de’ lampi sinistri; il suo naso rassomigliava ad un becco da pappagallo; le sue labbra erano sottili, quasi sempre chiuse ad un amaro sorriso; i suoi denti bianchi come l’avorio, erano acuminati come quelli delle fiere, la sua barba nera, già brizzolata, i suoi baffi folti, i suoi capelli che portava lunghi, gli davano un aspetto poco rassicurante.

Quali vicende l’avevano sbalzato dalle sponde americane su quelle così lontane delle Filippine? Nessuno lo aveva mai saputo. A Manilla godeva però triste fama: si sapeva che era stato degradato per un incontro in mare; non s’ignorava che le Autorità s’erano immischiate per una certa frode da lui tentata a danno d’una Società d’assicurazioni marittime, che era un dissipatore, un giuocatore sfrenato e si diceva perfino da taluni, che un tempo doveva aver avuto relazioni molto strette coi pirati del Borneo. Comunque fosse, come abbiamo veduto, egli era uno di quegli uomini che non s’arrestano dinanzi ad un delitto.

Wan-Baer aveva ben scelto il suo socio!

CAPITOLO III.

L’“Oregon”.


Manilla, la capitale delle isole Filippine, è senza dubbio una delle più opulente e delle più popolose città delle colonie spagnuole dell’Estremo Oriente.

Situata sulle coste occidentali della grande isola di Luzon, di fronte contemporaneamente alla China, al Tonchino ed all’An-Nam, quasi alla foce del fiume Passig, le cui acque sboccano in mare fra due lunghi moli paralleli, si divide in due città perfettamente di-