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222 | emilio salgari |
– E sappiamo altro ancora, signor Wan-Baer.
– Ma... O’Paddy?...
– Morto.
– Ed il malese?...
– Morto anche lui.
– Ma... siete il diavolo voi?...
– No, signore.
– E...
– Vi accontento subito: Amely... Dik!... Entrate...
La ragazza ed il piccolo Dik comparvero. Wan-Baer vacillò come se le forze gli venissero meno e mandò un rauco suono.
– Mi conoscete, cugino? – chiese Amely, avanzandosi verso di lui.
– E conoscete me, ladro? – chiese Dik.
A quell’ingiuria lanciatagli in viso da quel ragazzo, Wan-Baer si raddrizzò urlando:
– Vi uccido!...
Colla rapidità del lampo aveva estratta una rivoltella che teneva in tasca, ma il siciliano, che si aspettava un brutto giuoco, balzò innanzi e afferratolo pel polso, glielo tenagliò con tale forza da fargli cadere l’arma.
Poi, sollevando l’armatore fra le robuste braccia, corse alla finestra gridando:
– Ehi!... Malù!... Ecco una testa per la collezione di Sulinari.
Amely con un gesto lo trattenne, dicendo:
– Lasciatelo, Lando, vi prego.
– Tuoni!... Gli avrebbe fatto così bene questo capitombolo. Speriamo che sia per un’altra volta.
Wan-Baer, pallido come un cencio lavato, si era appoggiato alla tavola, dicendo con voce strozzata:
– Uccidetemi adunque.
– Uscite – gli disse Amely, indicandogli la porta. – Vi facciamo dono della vita perchè siete nostro parente, ma domani mattina cercate di trovarvi lontano da Kupang, se vi è cara l’esistenza.
– Vattene, ladro!... – gridò Dik.
L’armatore attraversò la sala vacillando come un ubriaco ed infilò la porta. Il soldato lo raggiunse e battendogli sulla spalla gli disse: