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220 | emilio salgari |
– Voi adunque avete visitato più volte mio zio?... – chiese la ragazza.
– Sì, ed in compagnia di tuo padre, quando eravamo di guarnigione a Flores, e anche tre anni or sono, quando feci un viaggio a Batavia, venni a visitarlo.
– Allora qualcuno vi conoscerà qui?...
– Spero che Xinthal, un portoghese che era intendente di tuo zio, si ricorderà di me. Ecco lassù la casa.
Dei punti luminosi apparivano sul pendìo d’una collina. Aguzzando gli sguardi, si distingueva confusamente un grande fabbricato sormontato da una torricella.
– Affrettiamoci – disse Held. – Lo sorprenderemo mentre starà cenando.
– Gli faremo fare una pessima indigestione – disse il siciliano.
Affrettarono la marcia salendo la collina e in dieci minuti giungevano dinanzi ad un giardino che si estendeva intorno ad un vasto fabbricato.
Agli abbaiamenti d’un cane incatenato, un uomo uscì, ma vedendosi dinanzi quel gruppo armato, indietreggiò vivamente.
– Avete paura, signor Xinthal? – chiese Held.
L’intendente, udendo quella voce, s’arrestò, poi disse con voce rotta:
– Possibile!... M’inganno io?...
– No, signor Xinthal.
– Ma voi siete il signor Held!
– In persona e vi conduco i legittimi eredi del defunto vostro padrone, Amely e Dik Wan-Torphof.
– Amely... Dik... Wan-Torphof!... Avete detto?... No, v’ingannate... non è possibile... sono morti nel naufragio dell’Oregon!
– Ve lo ha detto Wan-Baer?
– Ma sì, signor Held.
– È qui adunque, quell’uomo?...
– Sì, da undici giorni.
– Siamo ben felici che vi sia.
– Vado ad avvertirlo, signor Held.
– No!... Rimanete!... – disse l’olandese con tono imperioso. – Così vogliono Amely e Dik Wan-Torphof, vostri padroni.
Poi rivolgendosi verso i Dayachi, disse a loro: