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182 | emilio salgari |
– Tuoni! – urlò il siciliano inorridito. – Mangiali tu, abbominevole antropofago!...
E si slanciò dietro a Held, che si dirigeva verso la capanna.
Sulinari fece atto di seguirli per indurli ad accettare il regalo, ma indovinando forse l’orrore che a loro ispirava quell’offerta, o immaginandosi che gli uomini d’oltremare non osassero mangiare i loro nemici, addentò rabbiosamente quei tristi avanzi, mentre i suoi guerrieri si disputavano le carni ancora palpitanti delle vittime.
– Che vi colga la lebbra!... – gridò il siciliano che si era arrestato sulla soglia della capanna. – E noi dovremo chiamare, questi mangiatori di carne umana, amici nostri?... Tuoni!... Che razza di furfanti!...
– Questione di abitudini, Lando – disse Held. – Da secoli i loro padri usano mangiare i prigionieri ed essi fanno altrettanto.
– Sono ghiotti della carne umana, adunque?...
– Non la mangiano come una leccornia, ma per uno scopo, fino ad un certo punto perdonabile, per dei selvaggi.
– E quale, signor Held?...
– Perchè credono di appropriarsi il coraggio dell’uomo mangiato.
– Lo dite sul serio?...
– Ve lo dico con tutta serietà. Non crediate d’altronde, che i soli Dayachi abbiano questa strana convinzione; anche i Maori della Nuova Zelanda mangiavano i prigionieri, certi di appropriarsi la virtù del nemico messo alla graticola e ci tenevano soprattutto a mangiare l’occhio sinistro come quello che vede nell’anima. Alcune tribù della Guaiana di America e dei fiumi Amazzone e Orenoco riducono i cadaveri in ceneri e bevono queste sciolte nei liquori.
– Strane usanze, signor Held. Se la cosa fosse vera, ben poco di buono erediterebbero da quel furfante di malese. Toh!... Eccoli che tornano da noi!... Vengono a offrirci qualche cosa d’altro?...
I Dayachi, terminato il lugubre pasto, si erano radunati coi gongos alla testa e, seguìti da un lungo codazzo di donne e di bambini, s’avvicinavano alla capanna.
Due uomini portavano un grande vaso di porcellana, uno di quei vasi chinesi importati nell’isola in tempi antichissimi e che i Dayachi conservano gelosamente.
Sulinari si fece innanzi e dopo di aver salutato con molta ga-