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i naufragatori dell'«oregon» 173


– Mi hanno detto che il tuo compagno gli ha fatto fuoco addosso.

– È vero.

– Quell’uomo deve essere un cattivo, poichè in caso diverso non avrebbe ucciso uno dei miei sudditi.

– Avrei dato molto per poterlo avere nelle mie mani.

– Oramai sarà lontano, ma abbiamo preso un uomo di colore, che era pure armato della canna che manda fumo e fiamme.

– Un malese?...

– Sì, un uomo di quella razza esecrata.

– Ed è in tua mano?... – chiese Held, con stupore.

– Sì, e domani lo uccideremo.

– Me lo farai vedere?

– Sì, se lo vuoi.

– È un mio nemico.

– Allora sono doppiamente contento di averlo fatto prigioniero. Ti regalerò la sua testa.

– Grazie, te la lascio.

Sulinari lo guardò con stupore. Quell’arrabbiato collezionista di teste umane non riusciva a comprendere come l’uomo bianco non gradisse quel regalo.

– Non abbiamo l’uso di serbare le teste dei nemici – disse Held, che lo aveva compreso.

– Allora non odiate abbastanza i vostri nemici – disse il capo. – Non importa: la terrò io e sarò orgoglioso di possedere una testa di più.

– Te la cedo volentieri.

– Seguitemi al kampong, che è una vera kotta (fortezza).

– È lontano?...

– Al di là della foresta, sulle sponde di una palude.

– Non potrà entrarvi il mio nemico?...

Un sorriso sfiorò le labbra del dayako.

– Nessuno può entrare nei nostri villaggi – disse poi. – Sono muniti di recinti solidi e spinosi e poi i miei guerrieri veglieranno su te e sui tuoi compagni e non lasceranno avvicinare alcuno. Affrettiamoci: domani semineremo il riso e voi lo renderete fecondo.

– Noi!...