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mente affrontare. Internamente sono divise in cinque segmenti, ognuno dei quali contiene dei grossi semi, avviluppati in una polpa bianca coperta da una pellicola.

Quella polpa esala un acuto odore d’aglio e di formaggio marcio e così sgradevole, che non sempre gli europei possono vincerlo; ma appena in bocca, si fonde come se fosse un gelato e riunisce i gusti delle frutta più deliziose, dei mangostani e perfino degli ananassi.

È una sostanza animale più che vegetale, e perfino i cani la ricercano avidamente. I malesi poi ne sono ghiottissimi, ma tali frutta non si possono conservare e si guastano presto.

Anche i semi sono eccellenti e arrostiti hanno il sapore delle castagne.

Alle sette, dopo di aver spenta la sete coll’acqua di alcune nepenthes, i naufraghi riprendevano la marcia attraverso all’interminabile foresta.


CAPITOLO XVI.

Gli elefanti selvaggi.


La foresta non cambiava. Era sempre egualmente fitta, era un caos di vegetali d’ogni forma e dimensioni, gli uni addossati agli altri, amalgamati confusamente, di ammassi di foglie giganti, le une piumate, le altre lunghissime, dritte e larghe, di arrampicanti che correvano in tutte le direzioni, di rami che s’intrecciavano in mille guise, in alto e abbasso e di canne di dimensioni enormi che crescevano ritte od oblique a seconda dello spazio libero che trovavano.

I grandissimi tek, alti cinquanta e perfino settanta metri, dal legno duro come il ferro, che mai imputridisce anche immerso nell’acqua, crescevano accanto ai preziosi alberi della canfora; le piante di noci moscate dall’acuto profumo s’alzavano a fianco degli alberi che dànno la gomma stirace; quelle del pepe, che ormai mostravano i loro grappoli contenenti gli aromatici granelli, s’arrampicavano attorno agli alberi che producono i chiodi di garofano, i cui fiori, di-