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CAPITOLO XV.

Il “mias pappan„.


Stabilito l’accampamento ai piedi di quel colosso, che sorgeva in una piccola radura sgombra di vegetali, della superficie di un centinaio di metri quadrati, i naufraghi s’affrettarono a fare raccolta di rami secchi per accendere un grande fuoco, unico mezzo per tener lontane le belve feroci, le quali non dovevano mancare in quella sterminata foresta.

Avendo percorso più di dodici miglia attraverso a quel caos di vegetali, ormai erano certi di non poter più attirare l’attenzione dei pirati, i quali forse non avevano osato scostarsi dalla spiaggia.

Cenarono colle provviste che avevano portate con loro unendovi le frutta raccolte durante la marcia attraverso le foreste, improvvisarono dei freschi giacigli con delle grandi foglie d’arecche, e l’olandese, Amely e Dik si stesero, mentre il soldato montava il primo quarto di guardia.

– Se udite qualche rumore sospetto, chiamatemi senza indugio – disse l’olandese. – In quest’isola vi sono degli animali pericolosi e dei selvaggi più feroci delle fiere.

– Non dubitate – rispose il siciliano.

– Aprite bene gli occhi.

– Nessuno si avvicinerà senza il mio permesso. Buona notte a tutti.

Il soldato, accesa la sua pipa per meglio resistere al sonno che poteva sorprenderlo, dopo una giornata così faticosa, riattizzò il fuoco che mandava bagliori sanguigni sulle piante circostanti e si appoggiò contro il tronco dell’albero, tenendo il fucile fra le ginocchia e gli occhi bene aperti.

Un silenzio profondo regnava nella foresta, appena rotto dal lieve stormire delle più alte fronde scosse da un lieve venticello che soffiava dalla costa. Pareva che quella parte della foresta fosse stata abbandonata da tutti gli animali.