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72 | capitolo nono |
— E tutti di proprietà imperiale.
— E che cosa ne fa l’Imperatore?
— Non lo saprei, perchè non cavalca quasi mai. Tuttavia posso dirti che tiene a sua disposizione quasi centomila destrieri, scelti fra i migliori del suo sterminato impero.
— Tanti da morire prima di averli provati tutti, anche se dovesse diventare vecchio quanto gli antichi patriarchi.
— Sì, Rokoff.
— Vedo anche dei buoi.
— Ne possiede dodicimila.
— E delle pecore.
— Si dice che ne abbia duecento quarantamila.
— Ecco un proprietario che invidio, Fedoro. E quella massa enorme che s’innalza presso le mura del parco? La si direbbe una campana.
— Fedele copia di quella di Pekino, — disse il capitano, che si era silenziosamente accostato a loro. — Solamente che quella è in pietra, mentre quella della capitale è di bronzo finissimo.
— Io non ho mai potuto vederla, ma se quella è una copia, deve essere ben mostruosa.
— La più grande che esista al mondo, avendo tra una altezza di cinque metri, un diametro di quattro e mezzo e un peso di sessantamila chilogrammi. Se la bella Ko-hi non si fosse sacrificata, non so se i cinesi, per quanto abili, sarebbero riusciti a fonderla.
— Ko-hi! — esclamò Rokoff, guardando il capitano. — Chi era?
— Una delle più belle fanciulle dell’impero.
— E che cosa c’entra colla famosa campana?
— Signor Fedoro, — disse il capitano, volgendosi verso il russo. — Non conoscete l’istoria di questa campana?
— No, signore. —
Il capitano s’appoggiò al bordo, guardò per alcuni istanti Tschang-pin che ingrandiva a vista d’occhio, poi disse, quasi bruscamente:
— Narrasi che l’Imperatore Yung-ko avesse incaricato il mandarino Kuang-yo di fondergli una campana che, per mole, non avesse l’eguale nel mondo. L’impresa era così ardua, che per due volte l’immenso torrente di bronzo fuso si riversò nello stampo senza riuscire a dare una campana perfetta.