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i figli dell’aria 53

immenso urlo che non era più di gioia. Pareva che un terrore inesprimibile si fosse manifestato fra il popolo che si accalcava attorno al palco.

Anche il carnefice aveva abbassato la scimitarra, facendo un gesto di spavento.

Tutti guardavano in aria agitando pazzamente le braccia, col terrore negli occhi, senza essere quasi più capaci di gridare. Che cosa avveniva in alto, lassù nel cielo?

Fedoro e Rokoff, stupiti da quell’improvviso silenzio e dall’atteggiamento pauroso di tutta quella gente, avevano pure alzato il capo.

Un grido sfuggì dai loro petti.

Un uccello di dimensioni gigantesche, di forme strane, che scintillava ai raggi del sole come se le sue penne fossero cosparse di polvere d’argento, piombava sul palco con velocità fulminea.

Che cos’era? Un’aquila di nuova specie od un mostro caduto da qualche astro?

Vedendolo ingrandire a vista d’occhio e precipitarsi sulla piazza, i cinesi, pazzi di terrore, si erano rovesciati verso Tong, urlando spaventosamente, urtandosi, atterrandosi e calpestandosi.

Anche i soldati dopo una breve esitazione, si erano scagliati dietro ai fuggiaschi gettando via perfino i fucili per correre più presto e il carnefice li aveva seguiti, balzando come un’antilope.

— Fedoro!

— Rokoff!

— Un mostro!

— Ma no... non è possibile.

— Un drago!

— Vedo degli uomini!...

— Siamo salvi! Una macchina volante... un pallone... Odi? —

Una voce che scendeva dall’alto, una voce energica, imperiosa, aveva gridato prima in francese, poi inglese:

— Non temete... vi salviamo... spezzate i legami... Pronto! Gettala! —

Una scala di seta era caduta, svolgendosi rapidamente e toccando con una delle estremità il palco.

Un uomo, vestito di flanella bianca, era sceso rapidamente balzando verso i due europei, che erano rimasti immobili, come se lo stupore li avesse paralizzati. Con pochi colpi di coltello tagliò le loro corde, poi, alzandoli, disse in francese:

— Presto! Salite! I cinesi tornano!