Pagina:Salgari - I figli dell'aria.djvu/61


i condannati 49


— Che c’imbarchino su qualche giunca e che ci traducano a Tient-sin o fino al mare per impedirci di fare i nostri reclami all’Ambasciata russa.

— Ci sfrattano dall’Impero?

— Lo suppongo, Rokoff.

— Che ci mandino via non m’importa: mi rincresce solo di andarmene senza aver strozzato quel cane di maggiordomo. Però non siamo ancora giunti al mare. —

Il carro intanto continuava la sua corsa indiavolata, seguendo sempre le mura della capitale, robustissime ancora, quantunque contino molti secoli, alte nove metri, con uno spessore di cinque, tutte lastricate in marmo, con bastioni, torri, fossati e cannoniere in gran numero, guardati però, per la maggior parte, da pezzi d’artiglieria di legno.

Di quando in quando passava in mezzo a borgate popolose, circondate da ortaglie, attirando l’attenzione dei passanti, i quali però rimanevano subito indietro tutti, perchè i cavalli non rallentavano il galoppo.

Attraversato su un ponte di pietra il canale fangoso che viene chiamato pomposamente «fiume» e che altro non serve che ad alimentare gli stagni ed i laghetti dei giardini del palazzo imperiale, il carro si diresse verso il nord-est.

— Mi pare che ci conducano a Tong, — disse Fedoro.

— Che cos’è?

— Una borgata sulle rive del Pei-Ho.

— Allora tu devi aver ragione. Vogliono imbarcarci.

— Tale è ancora la mia opinione, Rokoff.

— Purchè facciano presto! Io ho tutte le membra rotte e se questa corsa dovesse durare ancora poche ore, non potrei più fare un passo. È così che trasportano i detenuti queste canaglie cinesi?

— Sì, Rokoff.

— In conclusione, trattano i prigionieri come polli.

— Nè più nè meno, — rispose Fedoro.

— Bel sistema per far rompere le gambe.

— Che ha però il vantaggio di rendere le evasioni impossibili.

— In quale stato devono giungere i condannati che si mandano dai paesi lontani!

— E lontani centinaia di miglia? — aggiunse Fedoro.

— All’inferno i cinesi!