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gli orrori delle carceri cinesi 39


— Sì, ma il mio compagno non parla che il russo, quindi domando che vi sia un interprete dell’Ambasciata russa.

— Tradurrete voi; noi non vogliamo stranieri qui, all’infuori dei colpevoli.

— Noi non siamo sudditi cinesi, quindi voi non avete alcun diritto di giudicarci senza la presenza d’un rappresentante del nostro paese.

— Per far intervenire l’Ambasciatore e levarvi dalle nostre mani? Oh! Le conosciamo queste cose.

— Io protesto.

— Lo farete poi, — disse il mandarino. — Voi siete accusati di aver assassinato Sing-Sing, un fedele suddito dell’Impero.

— Chi lo afferma?

— Tutta la servitù di Sing-Sing ha deposto contro di voi.

— Sono dei miserabili, degli affiliati alla società segreta della Campana d’argento, che per salvare i veri assassini incolpano noi.

— Sì, sì, la vedremo. Da dove venite voi?

— Io ed il mio amico Rokoff, ufficiale dell’armata russa, siamo sbarcati a Taku sette giorni or sono per venire qui ad acquistare cinquecento tonnellate di the.

— Siete un negoziante di the, voi?

— Sì, e la mia casa si trova a Odessa.

— Siete venuto altre volte in Cina?

— Tutti gli anni ci torno.

— E conoscevate Sing-Sing?

— Da molto tempo ed ero suo amico. Quale scopo dovevo dunque avere io per assassinarlo?

— L’odio che tutti gli europei nutrono verso di noi e...

— Mentite!

— E poi quello di derubarlo, perchè il suo forziere è stato trovato vuoto.

— E dove volete che noi abbiamo nascosto il suo denaro?

— Chi mi assicura che non abbiate avuto dei complici? — chiese il mandarino. — Il maggiordomo di Sing-Sing ha affermato d’aver veduto delle persone sospette aggirarsi intorno al palazzo, anche dopo che tutte le lanterne erano state spente.

— Allora è lui il colpevole! È lui il ladro! È lui che ha protetto gli affiliati della Campana d’argento.

— Il maggiordomo era affezionato al suo padrone; tutta la servitù lo ha confermato.