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34 capitolo quarto


— Meglio farci fucilare che lasciarci imprigionare.

— No, amico, noi riacquisteremo presto la libertà perchè la nostra innocenza verrà riconosciuta. Siamo prudenti per ora. —

Rokoff, quantunque si sentisse prendere da una voglia pazza di scaraventare il carceriere addosso ai soldati, comprese finalmente il pericolo e depose il povero diavolo, che pareva più morto che vivo.

Nel medesimo istante compariva il magistrato che li aveva fatti arrestare.

— Una ribellione? — disse, aggrottando la fronte. — Voi volete aggravare la vostra posizione o farvi uccidere.

— Dite ai vostri uomini che siano meno brutali, — rispose Fedoro. — Noi non siamo stati ancora condannati.

— Darò gli ordini opportuni perchè vi rispettino, ma non opponete alcuna resistenza. Seguitemi.

— Obbediamo, Rokoff.

— Se tu mi avessi lasciato fare, avrei sgominato questi poltroni, — rispose il cosacco. — Avevo cominciato così bene!

— E avremmo finito male.

— Ne dubito.

— Seguiamo il magistrato. —

Scortati dai soldati, i quali non avevano ancora levato le baionette dai fucili, furono introdotti in un’ampia stanza dove si vedevano sospese quattro gabbie contenenti ciascuna tre teste umane che parevano appena decapitate, colando ancora il sangue dal collo.

Erano orribili a vedersi. Avevano i lineamenti alterati da un’angosciosa espressione di dolore, gli occhi smorti e sconvolti, la bocca aperta ed imbrattata da una schiuma sanguigna. Sotto ogni gabbia era appeso un cartello su cui stava scritto:

La giustizia ha punito il furto.

— Mille demoni! — esclamò Rokoff, stringendo le pugna. — È per spaventarci che ci hanno condotto qui?

— Sono gabbie che poi verranno esposte su qualche piazza, onde servano di esempio ai ladri, — disse Fedoro. — Guarda altrove.

— Sì, perchè mi sento il sangue a ribollire. —

Attraversato lo stanzone, passarono in un altro, le cui pareti erano coperte da istrumenti di tortura.