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326 capitolo trentacinquesimo

sulla spiaggia, colle braccia incrociate sul petto, lo guardava allontanarsi.

Quando scomparve fra le tenebre, si volse verso il russo e il cosacco, dicendo:

— Aspettiamo che il macchinista ritorni.

— Una parola, signore, — disse Fedoro.

— Parlate.

— Quell’uomo è un russo, è vero? Un russo al par di me, perchè nessuno, per quanto conosca bene la nostra lingua, può parlarla così bene e con quell’accento. —

Il capitano lo guardò in silenzio per alcuni istanti, poi rispose:

— Può essere anche un russo, signor Fedoro. Vi rincrescerebbe?

— Tutt’altro, capitano.

— Non chiedetemi più nulla su quell’uomo che per voi deve rimanere uno sconosciuto. D’altronde voi non lo rivedrete più. —

Non erano trascorse ventiquattro ore, quando Rokoff e Fedoro, con loro viva sorpresa, videro riapparire improvvisamente lo Sparviero.

Quasi nel medesimo tempo una scialuppa approdava a breve distanza dal loro accampamento improvvisato, una di quelle barche chiamate ponlar, armata d’un albero. Era montata da quattro indiani.

— Signori, — disse il capitano. — È giunto il momento della separazione. Ecco la scialuppa che ho fatto noleggiare per voi, affinchè vi conduca a Calcutta. Gli uomini che la montano sono fidati. —

Lo Sparviero si era adagiato sulla sabbia, ma era montato dal solo macchinista.

Il capitano era rimasto silenzioso, guardando Rokoff e Fedoro. Pareva vivamente commosso.

— Tornate in Europa, — disse poi, tendendo ad entrambi la mano. — L’ora della separazione è giunta.

— Non ci rivedremo mai più, signore? — chiese Rokoff con profonda amarezza.

— Sì... un giorno... ve lo prometto... partite!... —

Poi, senza attendere altro, nè aggiungere alcuna altra parola, si slanciò sul fuso, il quale s’inalzò rapidissimo, descrivendo un’immensa spirale.


FINE.