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316 | capitolo trentaquattresimo |
Il capitano, fatto una nuova scarica, si era affrettato a raggiungerlo. I lupi, furiosi di vedersi sfuggire la preda, si erano subito scagliati contro il tronco del nim, ululando ferocemente e spiccando salti colla speranza di raggiungerli.
Erano quattro o cinque dozzine, numero più che sufficiente per mettere a mal partito due uomini, anche se formidabilmente armati.
Rokoff e il capitano, ormai al sicuro, salivano con precauzione, guardando sempre in alto. Un animale che non riuscivano ancora a distinguere in causa della foltezza del fogliame, si agitava fra i rami, scuotendoli vigorosamente e facendone cadere parecchi.
Si erano elevati d’una diecina di metri, quando Rokoff, che distava pochi passi dalla prima biforcazione della pianta, si fermò, dicendo:
— La bestia che sta lassù, mi pare molto grossa, capitano.
— Che cosa vi sembra?
— Un’enorme scimmia.
— Questo non è il paese dei gorilla e nemmeno dei mias, signor Rokoff, — rispose il capitano. — Sono convinto che si tratti d’un orso.
— Se ci piomba addosso ci getterà giù e allora verremo alle prese coi bighana, se non ci romperemo il collo o le gambe.
— Non potete far fuoco?
— È impossibile, capitano, non vi sono più piante parassite da aggrapparmi e il tronco è così liscio che è un vero miracolo a sorreggerci con ambe le mani.
— Che cosa fa quell’animale?
— Scuote i rami e grugnisce come un porco.
— Potete raggiungere la biforcazione?
— Mi ci proverò, ma... se quell’animalaccio scende?
— Non affrontatelo; piuttosto ridiscendete. Se è grosso deve essere un labiato e non già un panda.
— Bella posisione! — borbottò Rokoff. — Abbasso i cani che non attendono altro che di rosicchiarci le gambe e sulla testa quattro zampe armate d’unghie. Siamo fra Scilla e Cariddi.
— Orsù, signor Rokoff, decidetevi. Non ho più forze per sorreggermi, — disse il capitano.
— Giacchè non vi è scampo nè da una parte nè dall’altra, affrontiamo il nemico che può fornirci degli zamponi. —
Il cosacco si assicurò la carabina onde non gli sfuggisse