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314 | capitolo trentaquattresimo |
— Chi può essersi rifugiato lassù?
— Qualche tigre?
— Non si arrampicano sugli alberi, signor Rokoff, e poi qui non ve ne sono, trovandoci noi ancora troppo alti.
— E quei lupi che pare si avanzino minacciosi? Stiamo per venire presi fra due fuochi?
— Signor Rokoff, che lassù si celino quegli zamponi che tanto vi piacciono?
— Qualche orso?
— I labiati e anche i panda si arrampicano al pari dei gatti.
— E sono pericolosi?
— I primi sì. Assaliti si difendono e strappano gli occhi ai cacciatori.
— Ci tengo a non perdere i miei. Se lasciassimo questi cespugli?
— Se voi ci tenete ai vostri occhi, io non ho alcun desiderio di perdere le mie gambe o per lo meno di lasciare i polpacci fra i denti dei bighana. A giudicare dalle loro urla, devono essere straordinariamente cresciuti di numero. Vedo dappertutto brillare i loro occhi.
— Allora quegli animali sono pericolosi.
— Più degli orsi, in questo momento. Ci hanno circondati e non mi pare che abbiano l’intenzione di lasciarci, senza aver almeno assaggiato un pezzetto delle nostre gambe.
— Proviamo a respingerli, — disse Rokoff.
— E l’orso?
— Non lo vedo scendere.
— Una scarica a destra e una a sinistra. —
I due cacciatori si fecero largo fra i cespugli, per giudicare prima la loro situazione. Entrambi non poterono reprimere una smorfia di malcontento. I bighana a poco a poco li avevano circondati e si erano radunati in numero tale da temere un furioso assalto. Se ne vedevano dappertutto e s’avanzavano lentamente e incessantemente, stringendo i loro ranghi.
Come il capitano aveva detto, i lupi indiani, quando si trovano in buon numero, sono coraggiosi, anzi non la cedono, per audacia, ai grossi lupi delle steppe e della Siberia.
Somigliano ai loro congeneri del settentrione, sono invece più piccoli, non essendo più alti di sessanta centimetri, nè più lunghi di ottanta o novanta. Hanno il pelame rossiccio o grigiastro, colle parti inferiori bianco sporche.