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310 | capitolo trentaquattresimo |
che pochissimi villaggi, per lo più costruiti malamente, con pietre e tronchi d’albero, con pochi tratti di terreno coltivato a granturco e a orzo. Abbondavano invece i buoi, i montoni e i cavalli, i quali scorrazzavano sugli altipiani erbosi.
Mezz’ora prima del tramonto, lo Sparviero, come aveva predetto il capitano, passava con velocità fulminea su Tassesudon, la capitale dello Stato, spargendo un vivo terrore fra gli abitanti, i quali, vedendo quel mostruoso volatile, si precipitavano per le vie urlando e battendo furiosamente i gong, certo per spaventarlo e costringerlo a fuggire.
Tassesudon è la residenza del deb-rajah e viene annoverata come la principale fortezza del Butan, avendo mura massicce che hanno un’altezza di oltre trenta piedi e solidi bastioni.
Nel mezzo giganteggiava il palazzo reale, una costruzione enorme, in forma di parallelogramma, a otto piani e il tetto a punta adorno d’antenne e di bandiere, con sulla cima una statua rappresentante Mahamonnie, una delle divinità adorate dai butani.
Le case degli abitanti, invece, sorgevano più lontano, disposte a casaccio e senza ordine, per lo più in legno e a un solo piano.
Gli aeronauti ebbero appena il tempo di gettare uno sguardo sulla città. Lo Sparviero, spinto da un vento fortissimo che soffiava dalle altissime giogaie degli Imalaia accelerava sempre la corsa, diventata ormai vertiginosa. Il capitano, vedendo delinearsi verso il sud una catena coperta di folte boscaglie, lanciò la macchina volante in quella direzione, non osando scendere nei dintorni della città.
Non fu che verso le dieci della sera che quei monti furono raggiunti. Trovato un posto sgombro d’alberi, lo Sparviero discese lentamente su un piccolo altipiano che era circondato da nim, alberi dal tronco colossale e dal folto fogliame, da splendide mangifere, da pipal e da superbi palmizi tara.
Stava per adagiarsi su un folto e altissimo strato di kalam, erbe dure che raggiungono un’altezza considerevole, quando il capitano, che stava osservando i dintorni, indicò a Rokoff alcune ombre che si dirigevano verso la foresta.
— Animali? — chiese il cosacco.
— E di quelli che vi piacciono tanto arrostiti, — rispose il capitano. — Vi ricordate dei laghi del Caracorum?
— Ma quelle bestie non sono trote.
— Parlo di orsi io, o meglio di zamponi d’orso.