Pagina:Salgari - I figli dell'aria.djvu/352

308 capitolo trentatreesimo

si aprivano in tutte le direzioni, veri baratri scavati dai fiumi di ghiaccio che scendevano dagli enormi ghiacciai della catena e dalle acque che si vedevano precipitare dovunque, in gigantesche cascate.

Alle quattro del pomeriggio anche la piccola fortezza veniva lasciata indietro, senza che il suo presidio si fosse accorto del passaggio del mostro volante e mezz’ora dopo gli aeronauti varcavano la frontiera tibetana, entrando nel Butan.

L’India s’apriva dinanzi a loro coi suoi fiumi giganti, le sue sterminate foreste, le sue jungle immense e le opulenti città.


CAPITOLO XXXIV.

Attraverso il Butan.

Il Butan, che gli intrepidi aeronauti si preparavano ad attraversare, prima di scendere nelle pianure del Bengala, bagnate o fertilizzate dalle sacre acque del Gange, è uno stato indipendente rinchiuso fra le montagne Imalaiane e si può considerare come un’appendice del Tibet.

E infatti gli abitanti rassomigliano ai loro vicini, quantunque siano più vigorosi e anche più bellicosi; hanno un governo eguale, diviso fra il Deb-Rejale che è il governatore civile e il Dharme Rajah o capo spirituale che è, come i Budda viventi, l’incarnazione del precedente Dharme. Essi sono del pari seguaci del buddismo.

Invece di continuare la sua corsa verso il sud, dove le montagne giganteggiavano sempre, lo Sparviero si era diretto verso l’est, come se il capitano avesse avuto intenzione di entrare nella provincia indiana d’Assam, invece che di scendere nel Bengala.

Rokoff, che si era accorto di quel cambiamento di rotta, ne aveva fatto osservazione al capitano, il quale in quel momento stava osservando una carta dell’India.

— Il Bengala è ormai troppo inglese, — aveva risposto il comandante. — E poi desidero vedere la capitale di questo Stato e scendere più tardi lungo il Brahmaputra.

— Ritroveremo ancora quel fiume che abbiamo già attraversato nel Tibet?

— Sì, signor Rokoff.

— E poi?