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i giganti dell’imalaia | 305 |
Il passo era ancora popolato. Villaggi e borgatelli comparivano di quando in quando e anche numerose carovane di cammelli e di jacks si vedevano salire faticosamente le strette vallate dei monti.
Verso sera lo Sparviero si abbassava sulle rive del Tsono, un lago perduto quasi ai confini tibetani, rinchiuso fra montagne altissime. Il freddo era aumentato in causa della vicinanza degli immensi ghiacciai dell’Imalaia e soprattutto del gigantesco Dorkia, costringendo gli aeronauti a riprendere le loro vesti d’inverno e a riaccendere la stufa.
— Sarà domani che passeremo la grande catena? — chiese Rokoff al capitano, prima di ritirarsi nella sua cabina.
— A mezzodì passeremo presso il Dorkia, — rispose il comandante.
— E non andremo a vedere l’Everest?
— Lo scorgeremo egualmente, essendo visibile a distanza incredibile.
— Sicchè non andremo verso l’ovest?
— No, scenderemo in India attraverso il Butan. Buona notte, signor Rokoff, a domani. —
Erano appena le quattro del mattino, quando lo Sparviero riprendeva il volo per attraversare la grande catena che doveva condurlo in India. Già i primi contrafforti apparivano in forma di altipiani, i quali s’inalzavano rapidamente, costringendo gli aeronauti a portarsi sempre più in alto per non urtare contro quegli enormi ostacoli.
La vegetazione scompariva rapidamente. Non più foreste di pini e di abeti, non più praterie verdeggianti, dove pascolavano prima cavalli e mandrie di jacks e anche non più villaggi. Il deserto cominciava, ma un deserto di neve e di ghiaccio.
Fu verso il mezzodì, quando le brume che coprivano l’orizzonte si furono sciolte, che agli sguardi ansiosi e meravigliati degli aeronauti apparve l’imponente massa dell’Imalaia coronata di nevi e di ghiacci. I mostruosi colossi, fra i quali primeggiava il Dorkia, che spingeva la sua vetta a oltre sette mila metri, chiudevano tutto l’orizzonte meridionale, accavallandosi confusamente e mostrando vallate gigantesche, attraverso le quali si vedevano serpeggiare fiumi dal corso impetuoso. All’ovest, a una grande distanza, scintillava l’enorme Gaurinkar, o meglio l’Everest, il monte santo degl’Indiani, il più mostruoso picco del globo, il re delle montagne, perchè