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un supplizio spaventevole 297


— Perchè sono fuggiti i monaci di Dorkia?

— Non sono fuggiti, signore.

— Dove sono andati? —

Il vecchio additò un’alta montagna che giganteggiava verso il sud-ovest.

— Lassù, — disse.

— A cosa fare?

— Non so... vi erano due uomini bianchi come voi... che si dicevano figli di Budda...

— Avanti.

— Ignoro che cosa sia successo... so però che dopo essere stati adorati, sono stati condannati...

— A morte? — chiese il capitano, impallidendo.

— A essere mangiati vivi dalle aquile.

— Dove?

— Sulla cima di quella montagna.

— Quando sono stati condotti lassù?

— Stamane.

— Dai monaci?

— E da migliaia di pellegrini, — rispose il tibetano.

— Ah! Canaglie! Me la pagheranno! — gridò il capitano. — Che siano già giunti sulla cima?

— La via è lunga... lo ignoro.

— Giurami che hai detto la verità.

— Sul grande Budda.

— Partiamo senza perdere un istante, — disse il capitano. — Forse giungeremo in tempo per salvarli. —

Si era lanciato verso lo Sparviero, seguìto dallo sconosciuto.

Un momento dopo la macchina s’inalzava volando verso la montagna segnata dal tibetano, la quale sorgeva a circa mezza dozzina di miglia verso l’ovest.

Era una piramide enorme, che doveva toccare i tremila metri e che sorgeva isolata fra un gruppo di monti minori. Tutti i suoi fianchi erano coperti di neve; solamente alla base si vedeva un po’ di vegetazione, dei gruppi di pini e di abeti.

Lo Sparviero si elevava rapidamente, battendo poderosamente e precipitosamente le ali per raggiungere quell’altezza considerevole. Anche le eliche orizzontali turbinavano vertiginosamente, imprimendo al fuso un fremito sonoro.

L’aria diventava di momento in momento più rarefatta, rendendo la respirazione degli aeronauti assai penosa. Si trat-