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294 capitolo trentaduesimo


— Spaventali con qualche bomba.

— Pensavo precisamente a questo. Intanto prepariamone alcune; poi vedremo cosa si potrà fare. —

Il capitano, non volendo farsi scorgere dai rivieraschi onde giungere improvvisamente sul monastero per produrre maggior effetto, aveva dato ordine al macchinista di tenersi lontano dalle sponde.

Lo Sparviero s’avanzava velocissimo quantunque il vento non fosse interamente cessato. Su quelle regioni è rarissimo che non si faccia sentire in causa delle immense montagne e del numero infinito di gole che hanno diverse direzioni.

Era quasi mezzogiorno, quando il capitano che si era collocato a prora, munito d’un canocchiale, scoperse all’estremità d’una penisoletta, un grosso ammasso di costruzioni, sormontato da alcune cupole che il sole faceva scintillare vivamente come se fossero d’oro.

— È Dorkia, — disse allo sconosciuto che lo interrogava. — Mi hanno detto che solo quel monastero ha cupole dorate, quindi non possiamo ingannarci.

— Sono pronte le bombe?

— Ne ho preparato cinque.

— Basteranno per distruggere da cima a fondo Dorkia e anche i villaggi vicini.

— Macchinista, inalziamoci a cinquecento metri, onde tenerci fuori di portata dalle armi da fuoco.

— Temi che ci facciano cattiva accoglienza? — chiese lo sconosciuto.

— Che cosa vuoi? Non sono tranquillo.

— Se i tuoi amici si sono fatti credere figli del cielo o di Budda i monaci dovrebbero riceverci con grandi onori.

— E se si fossero accorti che erano invece due stranieri? Tu hai veduto se il Lama di quel convento si è ingannato sul nostro vero essere.

— Uccidono gli stranieri qui?

— E fra i più atroci tormenti, se non godono alte protezioni, — rispose il capitano. — Porta in coperta anche dei fucili e teniamoci pronti a tutto. —

Riprese il canocchiale puntandolo verso il monastero, che non si trovava allora che a sei o sette miglia di distanza. A un tratto fece un gesto di stupore.

— Il Lama mi ha parlato di pellegrini accorsi a Dorkia da