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un supplizio spaventevole | 289 |
era stata lacerata e il fulmine che era piombato sul fuso aveva guastato alcune lamiere della macchina e distrutto parte del timone. Non erano danni irreparabili perchè il capitano, da uomo previdente, aveva altre eliche, un timone di ricambio, qualche pezza di seta ancora e buon numero di lamiere, però quelle riparazioni dovevano richiedere un certo tempo.
Appena toccata terra, il primo pensiero del capitano era stato per Fedoro e Rokoff. Che cosa era accaduto di loro? Erano caduti nel lago dopo essere stati fulminati o erano riusciti a salvarsi e a raggiungere quel monastero ch’egli aveva pure veduto nel momento in cui il cosacco glielo aveva additato? Ecco le domande che si era rivolte il capitano, con profonda angoscia.
— Non li avete veduti rimontare a galla? — aveva subito domandato ai suoi compagni.
— Io ne ho veduto uno, — aveva risposto il macchinista.
— Chi?
— Il signor Rokoff.
— Sei certo di non esserti ingannato?
— No, capitano. Il signor Rokoff era vivo e per alcuni istanti l’ho veduto nuotare verso la spiaggia.
— Su quella dove sorgeva quel monastero?
— Sì, signore.
— E Fedoro?
— Mi è stato impossibile scoprirlo.
— E tu? — chiese il capitano, rivolgendosi allo sconosciuto che rimaneva, come sempre, silenzioso.
— Ero rimasto abbacinato da quel lampo acciecante senza poter scorgere più nulla.
— Che si siano salvati? —
Lo sconosciuto crollò il capo, senza rispondere.
— Che cosa faresti tu? — chiese il capitano.
— Al tuo posto tornerei verso il lago.
— A cercarli presso quel monastero? —
Lo sconosciuto fece un cenno affermativo.
— Lo farò, — rispose il capitano. — Non lascerò il Tengri-Nor se prima non avrò acquistato la certezza se sono vivi o se sono periti fra le onde. Macchinista, quante ore ti occorrono per riparare la macchina?
— Sei ore per lo meno, signore.
— Noi intanto rimonteremo le eliche di ricambio e accomoderemo alla meglio la stoffa dei piani inclinati. —