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282 capitolo trentunesimo


— Ah! Quale idea! — esclamò Rokoff.

— Getta fuori.

— Se parlassi io invece di te.

— Se nessuno ti comprende!... —

— Gli spiriti celesti devono parlare un linguaggio speciale. Lascia fare a me, Fedoro. Se nessuno riuscirà a capirmi, tanto peggio per loro e meglio per me. Almeno potrò dire tutte le asinità che mi verranno in bocca, senza che nessuno possa offendersi.

— E io?

— Ti fingerai ammalato.

— Non commetteremo una balordaggine?

— È l’unico mezzo per levarci d’impiccio, — disse Rokoff. — Tuonerò come un cannone e li farò rimanere tutti a bocca aperta. —

Senza aspettare la risposta di Fedoro, il cosacco, convinto della bontà del suo straordinario progetto, era uscito dalla stanza, correndo verso la sala dove i quattro monaci lo aspettavano picchiando e ripicchiando sul gong.

— Che cosa volete? — chiese.

I quattro monaci, che non comprendevano una parola di russo, si guardarono l’un l’altro con stupore, poi, con una mimica molto espressiva, gli fecero capire che volevano vedere il suo compagno.

— Seguitemi, — disse Rokoff, — che aveva indovinato il loro desiderio.

Quando entrarono nella stanza, trovarono Fedoro cacciato sotto le coperte e che mandava dei sospironi interminabili.

— Signore, — disse uno dei monaci, inchinandosi fino a toccare il suolo. — Tutti gli abitanti del lago muovono in pellegrinaggio verso il monastero, per ascoltare il vostro sermone. Sono migliaia e migliaia che s’avanzano per vedere i futuri Budda viventi.

— Ahimè! — gemette il russo. — Io sono assai ammalato e dovrò rinunciare all’insuperabile piacere di mostrarmi ai miei futuri adoratori. L’aria fredda delle vostre montagne mi ha abbattuto e mio padre, il grande Budda, non mi ha inviato ancora la medicina che gli ho fatto chiedere. Onde però non privare i pellegrini del loro giusto desiderio, mio fratello mi surrogherà.

— Nessuno però comprende il suo linguaggio, signore, — disse il monaco.

— Egli parla la lingua usata nel nirvana, ma quantunque non compresa, entrerà nel cuore dei pellegrini. Andate a dirlo al grande Bogdo-Lama.