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i budda viventi 281


— Il sermone! Ah! Sì, mi ricordo... d’essermi addormentato mentre lo pensavo.

— Ti ha per lo meno ispirato il sonno?

— Non so, Rokoff, ma ho tante idee pel capo. Sai che ho sognato di vedere Budda?

— Fedoro!... Che l’Illuminato si sia cacciato davvero nelle nostre anime? L’ho sognato anch’io.

— Un bell’indiano di statura gigantesca?

— No, il mio era più brutto d’un calmucco, — disse Rokoff.

— Colla pelle bronzina?

— Niente affatto, era verde come un ramarro e aveva le corna.

— Quello doveva essere il diavolo dei buddisti, — disse Fedoro.

— Il diavolo o Budda per noi fa lo stesso. Io non me ne intendo di queste cose e poi... —

Un fracasso assordante, che fece tremare l’intero monastero gl’interruppe la frase.

Si udivano tam-tam e gong strepitare, campanelli a squillare, trombe a lanciare note acute e in lontananza scariche di fucile.

— Per le steppe del Don! — esclamò Rokoff, balzando in piedi. — Che cosa succede! Si assale il monastero? —

Guardò verso la vôlta e vide una debole luce diffondersi sul lucernario.

— L’alba! — esclamò. — Quanto abbiamo dormito noi? —

Stava per precipitarsi fuori della stanza, quando udì il gong sospeso alla porta della sala da pranzo a squillare rumorosamente.

— Sono i monaci che chiedono di entrare, — disse Fedoro, gettandosi giù dal letto.

— Che sia accaduto qualche grave avvenimento? Se fosse il capitano che arriva col suo Sparviero? — disse Rokoff. — Amico, prepariamoci a dar battaglia ai monaci se vorranno impedirci di prendere il volo.

— E se fossero invece i pellegrini che vengono ad ascoltarmi? — chiese Fedoro, impallidendo.

— Farai a loro la predica.

— Non l’ho preparata e poi che cosa dire? Non ho mai studiato la religione buddista. No, non avrò mai il coraggio di pronunciare un simile discorso.

— Inventa delle carote.

— Per perderci entrambi?