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274 | capitolo trentunesimo |
un bue, un orso, un insetto, un verme, un moscerino o uno scarafaggio, a seconda delle sue colpe. Ecco il motivo principale per cui un vero buddista non oserà uccidere mai un animale, temendo di recare offesa all’anima d’un qualche parente o amico, tornato in vita sotto una nuova trasformazione.
Da questa strana credenza, sono derivati i cosiddetti Budda viventi, personaggi cospicui ma che sovente, per gelosie dei grandi Lama, scompariscono improvvisamente sotto la poderosa stretta d’un laccio di seta, sapientemente gettato intorno al loro sacro collo da un buddista spregiudicato e molto bene pagato.
Il Tibet è la terra di questi Budda che muoiono e risuscitano con una facilità assolutamente straordinaria.
Due pontefici, l’uno più potente dell’altro, si dividono il potere religioso di quel misterioso paese, rinchiuso fra le più alte montagne e i più giganteschi altipiani del mondo: il Gran Lama e il Dalai-Lama.
Il primo che s’intitola, come abbiamo detto, la Perla dei vincitori, è il protettore del Tibet e il custode della religione; il secondo non è che un pontefice in sott’ordine, ma gode la venerazione di tutti per i lumi della sua scienza.
Fra questi due ne esiste un altro, il reggente, che esercita i poteri civili e politici, coadiuvato da quattro ministri, personaggio pericolosissimo, perchè è quello che s’incarica di far sparire l’uno o l’altro quando gli dànno qualche fastidio o che per suoi scopi personali reputa necessario creare nuovi e più giovani pontefici.
Il Dalai-Lama e il Grande Lama rappresentano, pei Tibetani, due vere incarnazioni di Budda. In sostanza non sono che due divinità, due veri Budda viventi. Pel reggente e pei monaci non sono invece altro che degli uomini comuni, destinati presto o tardi a scomparire.
Nel Tibet, generalmente, hanno vita piuttosto lunga; nella Mongolìa e nelle regioni vicine, dove esistono pure dei Budda viventi, di rado toccano vent’anni. Sembra che un Budda un po’ attempato non piaccia ai governanti forse pel timore che abbia ad abusare della sua posizione e dare dei seri grattacapi.
Quando uno muore o per morte naturale o violenta, i monaci si affrettano a cercare uno che possa surrogarlo, impresa un po’ difficile, perchè il Budda che ha cessato di vivere non ha l’abitudine, prima di andarsene, di dire in quale fanciullo trapasserà la sua anima.