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266 | capitolo trentesimo |
Dinanzi alla porta dell’edificio, circondato da altri monaci, un uomo dalla lunga barba nera, che gli scendeva fino a metà del petto, coperto d’un’ampia tonaca rossa e che aveva al collo grossi monili d’oro, pareva che li aspettasse per dare loro il benvenuto.
— Che sia il capo del monastero? — chiese Rokoff, che si sentiva scombussolato da quel ricevimento che sorpassava tutte le sue previsioni.
— È la Perla dei sapienti, il Bogdo-Lama, — rispose Fedoro.
— Come ci accoglierà? Mi sento indosso un certo malessere che si direbbe paura. Se indovinasse in noi degli europei?
— Taci, Rokoff; mi fai venire la pelle d’oca.
— Non perderti d’animo e dalle da bere grosse, a quella Perla dei sapienti. Se potessi parlare correntemente il cinese, improvviserei un discorso tale da farlo piangere, mentre...
— Zitto. —
Erano giunti sulla cima della gradinata.
— Fa come faccio io, — disse Fedoro, rapidamente.
Il Bogdo-Lama e i due europei si guardarono per parecchi istanti in silenzio, mentre tutti i monaci cadevano al suolo toccando le pietre colla fronte e sporgendo, più che potevano, le loro lingue, poi il grande sacerdote fece alcuni passi, inchinandosi profondamente.
Fedoro ritenne opportuno rispondere con un altro inchino, meno deferente però nella sua qualità di figlio di Budda, subito imitato da Rokoff. Poi il Lama prese per mano i due europei e li introdusse nel tempio, fermandosi dinanzi a una gigantesca statua del Dio, simile a quella che già avevano veduto nell’altro monastero e pronunciò delle parole che nè Fedoro, nè Rokoff riuscirono a comprendere.
Ciò fatto li condusse attraverso una galleria le cui pareti erano coperte da paraventi ricamati in seta e oro, d’una finitezza e d’una bellezza meravigliosa, ed entrò in un’immensa sala illuminata da una specie di lucerna di talco e circondata da divani di seta azzurra e bianca, ricamati in argento.
Anche le pareti erano coperte da arazzi di manifattura cinese e il pavimento di tappeti del Kascemir a mille colori.
Tutti i monaci si erano arrestati sulla porta, continuando gl’inchini e salmodiando, a mezza voce, delle preghiere.
Fedoro e Rokoff, quantunque facessero sforzi sovrumani per apparire tranquilli, si sentivano tremare non solo il cuore, ma anche le gambe e si chiedevano ansiosamente